Salute, economia
la sfida è sperare

La sfida più difficile, a un anno dallo scempio umano, è mantenere la speranza dopo che il senso di unità e fratellanza ha segnato il clima del primo lockdown. La speranza è l’altra faccia del realismo e comunque buone nuove con l’inizio della vaccinazione di massa in tutta Europa. Si può cominciare a vedere la luce in fondo al tunnel: l’offerta di più vaccini per testarli sul campo e poi trovare la soluzione migliore, combinata con la ricerca avanzata dei farmaci anti Covid nella prospettiva di un rialzo delle temperature a primavera arginando definitivamente la pandemia. Far le cose bene e per tutti è l’assoluto, una prova di maturità per le istituzioni pubbliche: ci lamentiamo, ma in materia siamo tutti principianti, carenti rispetto all’azione collettiva. Quello Stato che, nel prima della pandemia, era un problema e che ora è considerato una forza necessaria: nonostante tutto, limiti e ritardi antichi del Sistema Paese.

Serve anche una campagna d’informazione trasparente, perché la disinformazione è fra i principali ostacoli alla necessaria adesione di massa alla vaccinazione.

La comunicazione, nel tempo delle paure, è tutto. Smontare il falso, specie l’area ambigua del quasi vero e del simil fasullo, richiede tempo, mentre le leggende metropolitane corrono facilmente per un effetto moltiplicatore. Abbiamo pochi soldi, c’è chi non sa come arrivare a fine mese, in compenso abbondiamo di narcisi perditempo e romanzieri del nulla da talk show. Il vecchio ordine sociale è stato devastato e ora si cerca di superare quella fase intermedia di aggiustamento che dovrebbe condurre a un nuovo assetto, ad una sorta di rifondazione: salute, con i vaccini e i nuovi farmaci, ed economia mettendo a terra i 209 miliardi di euro che arriveranno dalla Ue. Mai come ora avvertiamo la provvidenziale presenza della ricerca scientifica e della sanità pubblica. Il risveglio europeo c’è stato, il populismo ne ha risentito un po’, pur restando nella testa dell’Italia.

Ora però tocca a noi fare i compiti a casa ed è la cifra del 2021: un sentiero del tutto inesplorato. Per dirla con il vecchio Giolitti dell’Italia liberale che descriveva il carattere italiano, adattare il vestito sulle tante fattezze dell’italiano medio è stato un rammendo e un costume di lunga durata. Non basta più. L’Italia ha straordinarie capacità di adattamento, pure camaleontiche, che spesso hanno rimediato a storici deficit organizzativi dovuti alla mentalità burocratica. Non è sufficiente. Sia il vaccino sia il Recovery fund pongono un grande interrogativo che perseguita da sempre il Sistema Paese, al di là delle alterne fortune dei governi: dopo le non esemplari esperienze anche recenti, avremo la capacità imprenditoriale, in gran parte sulle spalle della macchina statale, di organizzare e distribuire questa gran manna piovuta dal cielo? Entriamo nel percorso obbligato del fare, senza perdere altro tempo, in cui la lotta per la vita abbraccia le due urgenze esistenziali (salute ed economia), in cui però c’è un cambiamento di fase anche nell’opinione pubblica: l’energia positiva della fase 1 s’è affievolita, prevalgono i toni dimessi, se non rancorosi.

Sull’economia avremo una ripresina, se la otterremo, a due velocità. Il manifatturiero fin qui ha tenuto. Ci potrà essere un rimbalzo positivo, così come per quei settori che hanno già pagato moltissimo (convivialità, ristorazione, turismo, compagnie aeree) e che potrebbero rialzarsi il giorno in cui, con il liberi tutti, la normalità sarà a portata di mano. Non sarà però un gioco a somma zero. Ci saranno vinti e vincitori e una selezione impietosa.

Cosa può succedere quando finiranno il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione in un Paese che non cresce da vent’anni, uno dei meno efficaci nel contrastare il rischio povertà e che già non era uscito del tutto dalle due recessioni degli anni scorsi? La sensazione di aver perduto qualcosa e di essere in un lacerante vuoto non sempre s’accompagna alla consapevolezza di profondi cambiamenti in ordine ai valori e alla condotta di vita delle persone, che richiedono visione e scelte impopolari.

Si dice che la pandemia è «democratica» perché potenzialmente colpisce tutti, tuttavia nella sfortuna collettiva la sorte non è stata uguale per tutti e i morsi della crisi economica sono asimmetrici e selettivi. Nel mirino ci sono i non garantiti dal vecchio welfare. La resilienza resiste attraverso la forza tranquilla della maggioranza silenziosa in contrasto con l’arretramento dell’avventura collettiva e con una politica che rimane nel perimetro di bottega. In una fase in cui le istituzioni sono chiamate ad un attivismo senza uguali per rimettersi in gioco e per rispondere all’emergenza con l’emergenza, stona la distanza quasi offensiva con i drammi degli italiani. Non si capisce l’utilità e pure dove risieda l’interesse generale di chi insegue la quasi crisi e la non crisi, non si comprende il punto di partenza e d’arrivo di un cortocircuito che appare preconfezionato e che potrebbe preparare un salto nel buio. Chissà se è vero, come dice l’adagio ripetuto dall’11 settembre, quello dell’attacco alle Torri gemelle, che nulla sarà come prima. E se scoprissimo, per restare con i piedi per terra, che pure il futuro non è più quello di una volta?

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