Salvare la natura: una vittoria per l’Europa

AMBIENTE. La valutazione economica dei servizi ecosistemici è stata introdotta dagli studiosi di ecologia negli anni ’90. L’obiettivo era convincere i politici della necessità della salvaguardia della natura considerandone i benefici economici, qualora non sembrassero sufficienti quelli ambientali.

In realtà lo sono sempre stati, ma non agli occhi di chi pesa tutto con il parametro del Pil. Per questo motivo il via libera del Parlamento europeo alla legge sul ripristino della natura dev’essere interpretato come una vittoria per tutti.

La legge è passata con 336 voti a favore, 300 contrari e 13 astensioni. A Strasburgo sono stati decisivi i 21 sì arrivati dal Partito popolare europeo, malgrado la posizione ufficiale contraria, espressa dal capogruppo Manfred Weber, a una proposta cardine del Green Deal della Commissione presieduta da Ursula von der Leyen, anch’essa tedesca e dello stesso gruppo. Compatti per il sì i partiti all’opposizione in Italia, per il no quelli al governo. Questa polarizzazione non fa bene a nessuno. Non si capisce che la salvaguardia degli ecosistemi ci garantisce i servizi da cui la nostra stessa esistenza dipende. Non si possono più rinviare i cambiamenti necessari per assicurare una vita sostenibile alle future generazioni. Di fronte all’incombente crisi ecologica e climatica è il tempo di assumere, finalmente,  scelte coraggiose che, anche se portano forse a un apparente decremento dei profitti nel breve termine, tutelano il futuro nostro e della natura. «Senza natura non c’è futuro», osserva correttamente Greta Thunberg, ieri a Strasburgo. In Italia 150 associazioni, quattromila scienziati, decine di grandi imprese, un milione di cittadini avevano firmato un appello per il sì, mentre le contrarietà provengono dal mondo dell’agricoltura, della pesca e dell’agroalimentare, per i timori di dover abbandonare terre produttive e veder aumentare i costi.

Oggi l’81 per cento degli habitat europei è in declino, mentre solo il 27 per cento delle specie animali e vegetali ha uno stato di conservazione soddisfacente. La vera novità della legge è il ripristino, la rigenerazione della natura, perché la protezione non è più sufficiente. Ogni Paese dovrà dotarsi di un piano per il ripristino degli ecosistemi per almeno il 20 per cento delle aree terrestri e marine dell’Ue entro il 2030 e per il 100 per cento entro il 2050. Il ripopolamento della fauna e della flora è necessario per la sicurezza alimentare e l’adattamento ai cambiamenti climatici, in definitiva per la salute e il benessere. Tra i punti della legge, la volontà di ridurre i pesticidi chimici del 50 per cento entro il 2030, l’aumento delle aree protette, gli sforzi per salvare gli impollinatori, essenziali per la vita. Sono previsti, poi, un minino del 10 per cento di copertura arborea in ogni città e la rimozione delle barriere fluviali per liberare almeno 20mila chilometri di fiumi, così da prevenire disastri durante le alluvioni, come quella recente in Romagna, destinate a diventare sempre più gravi e frequenti, e salvare vite umane e territori, non solo la biodiversità. Si stima che gli investimenti per il recupero dell’ambiente porteranno, per ogni euro speso, benefici tra gli 8 e i 38 euro. Valore economico dei servizi ecosistemici, appunto.

La legge non è già più il testo originario, ma il frutto di un iter che, tra un emendamento e l’altro, ha portato a perdere gli obiettivi non vincolanti per aumentare la biodiversità nelle aree coltivate e le azioni per il recupero delle torbiere a uso agricolo. Ora inizia il tratto finale, il negoziato del trilogo, costituito da Commissione europea, Parlamento europeo e Consiglio dell’Ue, da cui uscirà il testo che dovrà essere assunto e attuato dagli Stati, con i piani di ripristino nazionali da presentare alla Commissione entro due anni. Insomma, non è finita qui. Ma il via libera di ieri è una pietra miliare per la protezione dell’ambiente in Europa. La bocciatura equivaleva alla fine delle speranze suscitate dal Green Deal. Ambizioni importanti, da accompagnare e sostenere, non da allontanare e svigorire.

Il Green Deal, con la conseguente transizione ecologica, è un programma di sviluppo sostenibile, non di decrescita più o meno felice. Lo scontro è tra chi guarda avanti, verso un nuovo modello, e chi, invece, ha lo specchietto retrovisore, puntato su un passato che ha portato sì benessere, ma a un prezzo troppo alto, tale da mettere in pericolo le future generazioni. Proprio le grandi manifestazioni pacifiche del 2019, con milioni di giovani nelle piazze di tutto il mondo, sono state la spinta positiva per il Green Deal in Europa e l’inserimento della tutela dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi nella Costituzione italiana. Non torniamo indietro.

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