Sarà un’estate
«invincibile»

Incertezza e disorientamento. Sono questi forse i sentimenti più diffusi dopo la tragedia che si è abbattuta sul nostro Paese a causa del Covid-19, e in particolare sul territorio bergamasco. Vite falciate, relazioni affettive improvvisamente spezzate, familiari, amici, conoscenti, contagiati e ricoverati in ospedali affollatissimi. E ora che il peggio sembra passato e che la situazione appare sotto controllo, eccoci qua. Eccoci qua a cercare faticosamente di riprendere in mano la nostra vita, con un fardello di dolore che è difficile soffocare e con il quale dobbiamo comunque convivere. Ma a rendere tutto ancor più difficile è uno strano e impalpabile senso di sospensione. Di incertezza e disorientamento appunto, sulle azioni da fare per ristabilire una normalità diversa da quella che conoscevamo e che mai ci saremmo potuti immaginare.

Ma siamo animali adattabili, in grado di reagire alle avversità e di pensare al futuro con raziocinio e progettualità. Come rettore e come insegnante, nella situazione drammatica e inedita che abbiamo vissuto ho dovuto rivedere quasi ogni cosa. Non potevo far finta di nulla. Non potevo limitarmi a fornire (soltanto) indicazioni tecniche e organizzative sulla didattica on-line, come pure all’inizio ho fatto, illudendomi forse che si sarebbe trattato di un’emergenza risolvibile in poco tempo. Ho aperto una comunicazione diretta con gli studenti, in alcuni casi anche con i loro familiari, cercando di alleviare le loro ansie, per farli sentire meno soli e parte di una comunità: una comunità solidale e unita in un momento di terribile difficoltà. E lo stesso hanno fatto i miei colleghi e il personale tecnico-amministrativo. Niente di eroico, per carità. Sono sicuro che anche gli altri, impegnati in altre professioni e funzioni, si siano resi disponibili al meglio delle loro possibilità. E non sto pensando soltanto agli infermieri e ai medici che, lo dico senza alcuna retorica, meriteranno per sempre una riconoscenza inesprimibile a parole. Credo che ognuno abbia fatto la sua parte, osservando il lockdown, portando ad esempio la spesa a chi non era in grado di farlo, e l’elenco sarebbe davvero lungo.

Ma se tutto, o quasi, è ormai tornato a questa nuova e strana «normalità», qualcosa è stata lasciata indietro, come una povera Cenerentola. Mi riferisco al mondo della formazione, che rimane, per certi versi, ancora sospeso in un limbo di preoccupante indecisione. Gli studenti sono disorientati, ci scrivono e ci chiedono perché molte attività sono ripartite, e l’università invece no!

L’università e la scuola sono certamente espressioni di autonomia, ma con possibilità di manovra quanto mai differenti, in termini soprattutto di impatto e di incidenza. Tanto più che, nel caso della scuola, la gestione ricade soprattutto sui territori, spesso in assenza di mezzi e di concrete possibilità di azione. L’università invece ha maggiori spazi di gestione, per fortuna. E, infatti, tra tante difficoltà, incertezze e disagi, alla fine ha retto.

Ma noi, tutti noi che abbiamo fatto lezione a distanza, vedendo gli studenti soltanto attraverso lo schermo di un computer, sappiamo benissimo che dietro quei simulacri virtuali ci sono giovani adulti in carne e ossa, con i loro sentimenti e le loro legittime aspettative, con la voglia di appropriarsi della loro vita e di proiettarsi in un futuro dove non si addensano soltanto nubi di incertezza. E il pensiero è subito rivolto ai ragazzi che si apprestano ad affrontare la maturità, alle nostre future matricole, per le quali, stiamo lavorando con impegno, pensando a qualcosa di speciale, a un’accoglienza degna di questo nome.

Saremo senz’altro ligi alle norme di sicurezza e alla tutela della loro salute, ma li aiuteremo a sentirsi parte fondamentale e imprescindibile della nostra comunità. Per farlo, però, abbiamo bisogno di qualche ulteriore certezza a livello nazionale e di condividere questa enorme responsabilità, che non è soltanto giuridica, ma anche civica, morale e intellettuale.

L’università di Bergamo, lo dico senza alcuna enfasi, è pronta a ogni scenario, ma dobbiamo essere in grado di garantire, con le necessarie cautele, ai nostri giovani – cui abbiamo chiesto in questi interminabili mesi di attendere, sperare e aver fiducia – di potersi effettivamente fidare e di affidarsi a noi. Loro lo hanno fatto con lealtà e spirito di sacrificio, frequentando le lezioni, dando gli esami (scritti e orali) e perfino laureandosi a distanza. Credo che tutti i giovani del nostro territorio così duramente provati, tutti i giovani, piccoli e grandi, dell’università e della scuola di ogni ordine e grado, siano a pronti ad affrontare questa nuova sfida con coraggio e senso di responsabilità. Sono pronti perché hanno fatto esperienza non solo della fragilità della nostra condizione di essere umani, ma anche, anzi soprattutto, della forza della solidarietà, di quanto sia indispensabile prendersi cura gli uni degli altri. Sono pronti, ne sono convinto, perché hanno capito che lo spirito non può e non deve morire mai, che bisogna sempre coltivare la speranza, anche quando il mondo che conoscevamo sembra devastato, e che, come ci ha insegnato Albert Camus, «nel cuore dell’inverno» bisogna scoprire «un’invincibile estate».

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