Se i ragazzi sanno meno non è colpa
solo della Dad

Le prove Invalsi 2021 ci restituiscono un quadro piuttosto desolante: il crollo degli apprendimenti nelle scuole secondarie di primo grado e, ancora peggio, in quelle di secondo grado. Questo significa che uno su due dei ragazzi che si accingono ad accedere all’università è fermo a un livello di competenze di terza media o, al massimo, di prima superiore. Insomma, una fotografia impietosa e preoccupante, che è purtroppo l’epifenomeno di una situazione imprevedibile e sconvolgente: la pandemia.

I risultati registrati dalle prove Invalsi sono indubbiamente negativi per la scuola, ma hanno e avranno nel breve-lungo periodo ricadute significative sull’economia, sulle relazioni personali e sociali e perfino sulle modalità di comunicazione.

Ovviamente, è un esercizio piuttosto semplice fare della didattica a distanza il capro espiatorio di questa deriva educativa. Ma sarebbe quanto mai errato puntare il dito sulla Dad, come se fosse l’unica causa di questi risultati. Si tratterebbe infatti di un’operazione scorretta non solo dal punto di vista analitico, ma anche prospettico. E la ragione è piuttosto semplice: la Dad è stata un mezzo e non certo un fine. In ogni caso, se proprio si vuol parlare dei danni causati dalla Dad, allora la domanda giusta da porsi è questa: cosa sarebbe successo se non avessimo potuto avvalerci nemmeno della Dad? Bisogna essere onesti e riconoscere che la Dad è stata una scelta obbligata, che ha indubbiamente limitato i danni. È stata una strategia d’emergenza, che è stata utilizzata in modi e a livelli diversi,come testimoniano anche le differenze territoriali dei dati Invalsi, per fronteggiare una situazione difficile e complessa, imprevista e imprevedibile, che in tanti settori ci ha colti impreparati, nell’affannosa ricerca di una soluzione che allontanasse lo spettro di uno spaventoso shutdown.

E proprio per questo la Dad, con tutti i suoi limiti, ha consentito di dare comunque una qualche continuità ad un diritto imprescindibile in uno Stato democratico, il diritto allo studio. Non mi sembra che, nelle condizioni in cui eravamo, ci fossero altre alternative valide per garantire questo diritto. Adesso però la situazione è diversa. La maggior parte degli insegnanti- quasi l’85% - è vaccinata, e si spera che, con una proficua campagna vaccinale, prima dell’inizio del nuovo anno scolastico lo possano essere anche tutti gli studenti. Questo vuole dire che la Dad va ripresa in mano, utilizzata e migliorata per quegli aspetti a cui è funzionale ossia per integrare e facilitare, ma mai sostituire la relazione educativa che avviene e può avvenire soltanto in presenza. La Dad deve diventare una possibilità in più, che si usa per ottenere finalmente un’azione didattica mirata, flessibile e consapevole; esattamente tutto il contrario cioè di quello che finora è accaduto.

E per farlo è necessario organizzare una formazione degli insegnanti, sia in ingresso sia in servizio, autentica, affidata per la sua realizzazione a livello territoriale, ma poi puntualmente verificata sul piano nazionale. Soltanto così sarà possibile creare le condizioni per sanare le cicatrici e i buchi culturali che i ragazzi hanno cumulato durante questa lunga stagione pandemica. La Dad ha esacerbato situazioni che già prima erano critiche; ora bisogna porvi rapido rimedio valorizzando il ruolo del docente in presenza, la relazione docente-studenti e quella, ancor più importante, tra gli stessi studenti. Ma si tratta anche di considerare prioritaria la sinergia reale tra scuole e università, che non è più dilazionabile.

Bisogna rendersi conto che la didattica deve necessariamente trasformarsi e recuperare importanti consapevolezze, come del resto,tutti noi ci siamo trasformati a causa di questa terribile pandemia. È necessario uno sforzo congiunto, da parte dei docenti e degli studenti, ma anche di chi ha responsabilità di governo, così come delle famiglie; occorre evitare, tutti insieme, che si verifichi la situazione descritta da Ignazio Silone in Fontamara, quando gli abitanti rimangono senza illuminazione elettrica e con il passare dei giorni e dei mesi si abituano «al regime del chiaro di luna». Ecco, non dobbiamo e non possiamo rassegnarci ad una scuola e a un’università senza didattica in presenza, senza gli studenti e i docenti in aula.

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