Se il caso Regeni
diventa europeo

Nel quinto anniversario (ieri) della scomparsa di Giulio Regeni, si sono registrate tre importanti novità sul delitto irrisolto del ventottenne dottorando dell’Università di Cambridge. È fissata al 29 aprile prossimo l’udienza preliminare davanti al gup di Roma Pier Luigi Balestrieri per i quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati del sequestro, delle torture e dell’omicidio. Il 20 gennaio scorso era arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per gli 007 Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Nei loro confronti le accuse mosse dalla Procura di Roma variano dal sequestro di persona pluriaggravato al concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. Gli inquirenti sono potuti risalire ai nominativi grazie alla collaborazione di testimoni egiziani, ora riparati all’estero ma in attesa di protezione.

La magistratura del Cairo non ha mai offerto collaborazione ma anzi ha depistato attribuendo il delitto alla criminalità comune e non ha mai dato risposte alla rogatoria avanzata dai pm romani che chiedevano di conoscere i domicili dei quattro uomini dei servizi segreti indagati.

La seconda novità è l’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che alza il livello di coinvolgimento istituzionale dell’Italia nella vicenda: «L’azione della Procura della Repubblica di Roma, tra molte difficoltà - afferma il Capo dello Stato - ha portato a conclusione indagini che hanno individuato un quadro di gravi responsabilità, che, presto, saranno sottoposte al vaglio di un processo, per le conseguenti sanzioni ai colpevoli. Ci attendiamo piena e adeguata risposta da parte delle autorità egiziane, sollecitate a questo fine, senza sosta, dalla nostra diplomazia. In questo doloroso anniversario - conclude Mattarella - rinnovo l’auspicio di un impegno comune e convergente per giungere alla verità e assicurare alla giustizia chi si è macchiato di un crimine che ha giustamente sollecitato attenzione e solidarietà da parte dell’Unione europea. Si tratta di un impegno responsabile, unanimemente atteso dai familiari, dalle istituzioni della Repubblica, dall’intera opinione pubblica europea». Sono parole pesanti perché il presidente della Repubblica chiede un impegno comune finora mancato e chiama in causa l’Egitto senza mai citarlo come alleato, contrariamente a politici che hanno evitato il pressing sul Cairo in nome di una condivisione di commerci militari, di affari economici e di un presunto ruolo strategico per l’Italia rappresentato dal Paese delle piramidi.

Il regime di al-Sisi ha coperto spudoratamente la verità sull’omicidio Regeni. Lo confermano anche due fatti non secondari: uno già citato (i testimoni costretti a espatriare); nel marzo 2016 i documenti di Regeni furono trovati dalle forze di sicurezza egiziane nella casa di una famiglia di «criminali» alla periferia del Cairo e durante un blitz per le strade della capitale le stesse forze uccisero cinque persone a bordo di un minibus, tutte considerate membri della banda. Per la dittatura il caso era chiuso e anche per la magistratura cairota. Ma una giornalista locale non cascò in questa versione. Scavò a fondo, sentendo i parenti delle cinque vittime fino a scoprire che la «National security» aveva scelto di incriminare povera gente, capri espiatori ideali per coprire un omicidio brutale. Pubblicò la verità su un sito giornalistico: è stata arrestata tre volte e con la sua famiglia, dopo essere uscita di prigione nell’ottobre scorso, è riuscita a rifugiarsi in Libano.

La terza novità sul delitto riguarda il ruolo dell’Ue, chiamata in causa anche da Mattarella. Ieri Luigi Di Maio ha portato il caso all’attenzione del Consiglio dei ministri degli Esteri europei. L’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e per la politica di sicurezza Josep Borrell lo ha definito «una questione grave non solo per l’Italia ma per tutta l’Ue. Continuiamo ad esortare l’Egitto a cooperare in pieno con le autorità italiane sulle responsabilità e affinché sia fatta giustizia». Una sponda importante ma non bastano le esortazioni. Bisogna essere disposti a mettere in gioco sacrifici economici e interessi di parte. L’Europa poi non ha una politica estera comune. La Francia in particolare ha un legame molto forte con l’Egitto (recentemente all’Eliseo il presidente Macron ha assegnato ad al-Sisi la Legion d’onore). In Libia i due Stati sono alleati con il generale ribelle Khalifa Haftar che voleva prendersi Tripoli ed instaurare un regime. Altro che stabilità. Un banco di prova per la nuova Europa, solidale contro il Covid. Ma senza una politica estera comune, continueremo a pagare una debolezza geopolitica.

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