Seconda Creazione che spacca la Storia

ITALIA. Care sorelle e cari fratelli, è di nuovo Pasqua. Che la sua gioia e la sua forza possano sradicare le pietre, piccole e meno piccole, che sigillano come un sepolcro il cuore di ciascuno di noi. Le nostre morti dell’anima e i nostri lutti possano trovare nella vicenda del Risorto una compagnia di speranza!

Perché la Pasqua che celebriamo, quella di Gesù, è da sempre anche la nostra. È come se da allora il tempo fosse entrato in un’altra logica, dentro un altro modo di scorrere, proprio a partire dall’evento della risurrezione di Gesù di Nazareth. Noi oggi non celebriamo un fatto avvenuto nel passato, né lo facciamo accadere simbolicamente nelle nostre Eucaristie: noi oggi partecipiamo a quell’istante creativo che è stata la Pasqua di Gesù e che dura ancora oggi. È un presente che ha cambiato la storia, la fa continuamente nuova e ce la offre come dono. Un presente in cui siamo immersi. Lì è cominciata la gloria che rende pieno questo oggi che noi viviamo.

La Pasqua come inizio della gloria. La parola «gloria» in ebraico è «kavod», un termine bellissimo, spirituale proprio perché concreto: significa «peso». La gloria è qualcosa che ha un peso, una consistenza, un corpo. È qualcosa non di aereo e impalpabile, che avrebbe a che fare con un futuro di cui possiamo balbettare ben poco, ma di concreto e di presente, che ha una parentela con le leggi fisiche a cui sono sottoposti i corpi: la gloria, potremmo dire, è una sorta di «forza di gravità», molto reale, che attira verso la terra. Non verso il basso: verso la terra. La risurrezione di Gesù mostra la gloria di Dio perché ci rivela un’attrazione divina per le cose terrestri, dilatate dentro un «per sempre». E allora scopriamo che il cielo comincia qui, nel concreto del quotidiano. La gloria di Dio che ha a che fare con la casa, i figli, i nonni, il lavoro, gli ammalati, gli amici, la parrocchia… Questo è il tempo di gloria che la risurrezione di Gesù fa scoccare. Inizia il tempo in cui l’ordinarietà e la normalità delle nostre vite si trovano esposte alla possibilità di incontrare il mistero della loro pienezza, il mistero di Dio.

Prima, le lancette dell’orologio ricordavano come la freccia del tempo umano scivolasse veloce e inesorabile, ticchettando con passo regolare, verso la morte che divora ogni cosa della terra. Oggi, a partire dalla risurrezione di Gesù, il tempo continua a scorrere, ma va verso una pienezza. Verso la certezza che occuparsi di vivere bene le cose della terra non è «tempo perso»: è tempo divino, che rimane per sempre, perché la pendola del cosmo e del mondo ha un orizzonte di vita, non di morte. Di pienezza, non di mancanza. Questo è l’ottimismo cristiano che fa attraversare le faccende della terra come anticipo di cielo.

Dando il via a questa vita nuova, la risurrezione è come se fosse una seconda creazione, un momento che spacca la storia in due, perché fa cominciare cose nuove. Riavvolgere il nastro delle cose fino al loro inizio ci aiuta a vederne l’origine e a capirne il significato, come quando si torna a sfogliare l’album di nozze, o si ripercorrono nella mente i ricordi dell’infanzia, con i loro sogni e le loro speranze: sono gesti che ci aiutano a ritornare al significato vero delle cose che facciamo, anche qualora ce ne fossimo discostati. Che la risurrezione sia una nuova creazione ce lo suggeriscono i vangeli stessi: Gesù, il nuovo Adamo addormentato, è posto in un sepolcro all’interno di un giardino che ricorda l’Eden. Lì, ridà vita a Maria Maddalena, distrutta per la perdita del caro maestro, figura di Eva e della Chiesa. È l’alba del primo giorno della settimana, che nella Genesi è il momento preciso in cui Dio si mette all’opera per costruire il mondo e la sua bellezza. Nell’aria si avvertono il profumo e la forza vitale della primavera, che scardina l’immobile compostezza dell’inverno. Ci sono dunque tutti gli elementi per farci riavvolgere il nastro fino alla creazione. Qual è allora il significato delle cose che si vede solo all’inizio, prima che le preoccupazioni e le asperità della vita facciano deviare lo sguardo?

Potremmo dirlo così: nella storia di Gesù c’è un modo di essere uomini e donne che rimane per sempre, che ha qualcosa da dire a tutti, che è originario e creativo. Chi lo incontra, si scopre nuovo, al di là dei sepolcri in cui le circostanze hanno avuto la meglio, hanno preso in ostaggio e rinchiuso parte della sua vita. Il sepolcro è la fine di tutto, senza appello: ci stanno dentro tutte le cose che nella nostra vita sono in un certo senso finite – e con esse anche un pezzetto di noi. Lì dentro, nel buio inappellabile del sepolcro.

La risurrezione è una pietra scardinata dall’uscio di una tomba; è un gesto potente di speranza. Certo, anche per i discepoli rimane ancora tutto il difficile di una morte ingombrante con cui fare i conti: le bende che raccontano le ferite, le lacrime e la fatica a credere che sia possibile e giusto andare oltre. Ma il masso che separava dalla vita piena non c’è più. Il tappo che ostruiva il passaggio, che sbarrava la strada tra le cose morte e quelle vive, è rimosso. Questo vuol dire che la risurrezione non è un gesto da bacchetta magica, che fa nuove le cose e le nostre vite cancellando il dolore con un colpo di spugna e una pacca sulla spalla, come se bastasse un po’ di fede per sistemare l’esistenza. Vuol dire però, questo sì, che il cammino per la vita piena, da parte di Dio, non è sbarrato. Secondo Lui, è di nuovo possibile a tutti noi, pur rimanendo intatto nella sua fatica. È come se chiedesse a ciascuno di noi: «Ma tu vuoi risorgere?». Capisce e rispetta con delicatezza i nostri sepolcri, ma offre vita piena. Fragile e vera come l’amicizia e l’incontro con Lui.

Possa essere questa l’esperienza e l’augurio della Pasqua che raggiunge ciascuno di voi, le vostre famiglie e le nostre comunità cristiane in questo giorno: il dono di sentirsi di nuovo chiamati a entrare nell’oggi della gloria nascosta nel quotidiano, lasciando brillare la speranza di una risurrezione fattasi vicina. Buona Pasqua!

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