Solidità la sfida
per la vera guarigione

La telefonata del Papa a Bergamo mi ha fatto riflettere. In un lampo ci siamo trovati una società gassosa. Eravamo troppo abituati a dire di essere in una «società liquida», nella quale tuttavia ci piaceva galleggiare. Il virus, il dolore, gli strappi emotivi, il pessimismo, le tensioni della quarantena, potrebbero spingere ad accartocciarsi. Un hashtag ha invaso più del virus: #bergamomolamia.
Mola, però, in dialetto ha anche un altro significato: non è solo verbo all’ imperativo ma può essere anche un aggettivo: «mola mai», non è mai molle.

Mola mia e mola mai! La pandemia ha riportato tutti sullo stesso piano, il virus - e lo insegnava Totò tanti anni fa - è una livella. Nei letti di terapia intensiva o nelle bare senza funerali, in fila ci sono ricchi e poveri, potenti e semplici. Nell’ animo bergamasco scatta subito il primo aspetto, «mola mia!» con una fantasia di solidarietà emozionante. Ma non si ferma a questo.

C’ è l’ altra faccia della medaglia: «mola mai!». Oltre alla solidarietà scatta la solidità: Bergamo non è molle mai! È una forza interiore più vasta e più profonda anche del male. Sarà la solidità su cui ricostruire le famiglie, su cui far ripartire il lavoro, su cui puntare la leva per sollevare un’ economia schiacciata al suolo, su cui far forza per cicatrizzare le ferite emotive, su cui appoggiarsi per rielaborare un lutto che è stato solo deglutito, su cui mettersi in piedi per guardare l’ orizzonte e ripartire. Una solidità che ha il volto della prossimità. Una prossimità che mi ha fatto vedere persone a pezzi aiutare chi aveva solo una crepa. Una prossimità che ha il volto di persone che prima neanche si salutavano sul pianerottolo e ora vanno a fare la spesa ai vicini anziani per non esporli al rischio o per aiutare in situazioni di quarantena. Una prossimità che ha il profumo e il gusto di pizze e brioche fatte arrivare in ospedale a medici e infermieri.

Prossimità che ha la pelle d’ oca per la telefonata di una persona che non senti da tantissimo e superando silenzi o incomprensioni ti dice «volevo sapere come stavi, perché penso a te». Una prossimità che ha la sacralità di preti che non potendo dire Messa con i fedeli si inventano dirette streaming, app per iniziative ai ragazzi a casa, riflessioni per gli adulti via chat, pillole audio con storie o canti per fare compagnia agli anziani, linee telefoniche di consolazione.

Una prossimità che vede una diocesi preparare le stanze vuote del seminario per medici e infermieri. Una prossimità che ha visto una Bergamo in ginocchio per il virus, ma anche nella preghiera come l’ atleta che si china a caricarsi per lanciarsi al desiderato start. Una prossimità che sola saprà riempire di aria di primavera i polmoni che hanno ripreso a gonfiarsi di vita oltre ogni odore di medicinale. Una prossimità che insegnerà a ridire «grazie» capendo che niente ti è dovuto, tutto è donato, invece che vomitare urla di giudizi con dito puntato o digitante. Una prossimità che impreziosirà le strette di mano: dopo averle evitate come pericolose ci si è resi conto di quanto siano essenziali, se calde e convinte, per risollevarsi. Una prossimità che ha insegnato a fidarsi degli altri e ad affidarsi alle competenze degli altri, perché non si può essere sempre tuttologi. Una prossimità che ha fatto prendere coscienza che bisogna essere vivi per morire. E forse non lo eravamo davvero. Che senso ha affannarsi se poi in un attimo tutto va in panne? Che senso ha rincorrere il superfluo se quando meno te lo aspetti ti si sgretola l’ indispensabile? Qui c’ è la sfida della solidità, che sarà la vera guarigione. Bergamo mola mia! Perché Bergamo mola, mai!

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