Solo il carisma non è sufficiente

Ha iniziato la cancelliera tedesca, Angela Merkel, che lo scorso 2 dicembre, parlando della gestione della pandemia da Covid-19, ha ammesso candidamente: «Magari fossimo nella situazione dell’Italia». Ventiquattrore dopo, l’agenzia di rating Fitch ci ha messo del suo, migliorando il voto assegnato al debito pubblico italiano, come non accadeva da circa vent’anni. Questa settimana, infine, è arrivata l’incoronazione dell’Economist, il settimanale britannico (e globalizzante) che ha scelto l’Italia come «Paese dell’anno», premiandoci nientedimeno che per la nostra «politica».

Dimostreremmo poca lungimiranza e abbondante provincialismo a lasciarci impressionare oltremodo dal «prestigioso estero», come lo chiamava ironicamente Alberto Arbasino. Allo stesso tempo sbaglieremmo a non riflettere almeno un po’ sull’inusitato consenso che oggi il nostro Paese riscuote tra leader, investitori e media mondiali. Una maggiore legittimazione internazionale infatti non fa bene soltanto al morale. Lo sanno bene gli investitori stranieri che ipotizzano di scommettere sul nostro Paese, gli industriali italiani che pianificano progetti dentro e fuori i nostri confini, i giovani che devono decidere se emigrare all’estero per dare slancio alla loro carriera lavorativa, i risparmiatori di tutto il pianeta che riflettono se acquistare o meno una pur piccola quota del nostro imponente debito pubblico. Sarà dunque utile capire com’è nata la luna di miele tra il Belpaese e l’opinione pubblica internazionale.

Secondo il giudizio espresso dall’Economist, i fattori da considerare sono almeno due. Primo, ci siamo lasciati alle spalle «una governance debole» fino al 2019 e l’abbiamo sostituita con «un presidente del Consiglio competente e rispettato a livello internazionale», cioè Mario Draghi. Secondo, «per una volta, una vasta maggioranza della classe politica ha messo da parte le reciproche differenze per sostenere un programma di riforme» che hanno garantito tra l’altro l’accesso a fondi straordinari dell’Unione Europea (Next Generation Eu). In questo modo, aggiungiamo noi, siamo diventati un po’ più «comprensibili» e dunque prevedibili agli occhi di chi ci osserva da una certa distanza. Se fino a questo punto possiamo essere d’accordo, subito dopo dovremmo chiederci: come è possibile prolungare questa (gradevole) luna di miele? Inutile negare che la nuova legittimità internazionale del nostro Paese sia almeno in parte di tipo «carismatico», legata cioè alla personalità di Draghi e ai suoi meriti. Su questo aspetto specifico, dunque, la scelta del prossimo presidente della Repubblica sarà in ogni caso decisiva.

L’attuale congiuntura però non è eterna, dunque sarà bene che la classe dirigente italiana lavori da subito per una legittimità fondata soprattutto sulle capacità interne e sistemiche del Paese. Nell’arco di poche settimane, infatti, il panorama internazionale potrebbe cambiare e non di poco: oltre all’incognita dell’andamento della pandemia, c’è la quasi certezza che la politica monetaria delle Banche centrali diverrà meno accomodante e che i vincoli fiscali dell’Eurozona torneranno in vigore. Non solo. L’effetto-rimbalzo del Pil nazionale sfumerà progressivamente: secondo le previsioni diffuse ieri dalla Banca d’Italia, il tasso di crescita scenderà dal 6,2% nel 2021 al 4% nel 2022, fino all’1,7% nel 2024. E una volta che la marea sarà tornata ad abbassarsi, riemergeranno gli scogli di sempre: dalla scarsa produttività dell’economia italiana alla disoccupazione persistentemente elevata (ancora all’8,7% nel 2024), passando per gli enormi squilibri demografici del Paese. A meno che nel frattempo non ci saremo rimboccati le maniche sul fronte delle riforme, conquistandoci così una nuova e duratura legittimità agli occhi di tutti.

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