Sovranismi e Brexit
Non fermano l’Europa

Dopo il referendum inglese del 2016 che ha dato il via libera alla Brexit, in molti pensavano che il progetto europeista potesse implodere. Ad alimentare tale previsione hanno pesantemente contribuito le diffuse rivendicazioni «sovraniste» capitanate da Marine Le Pen in Francia e Matteo Salvini in Italia, quest’ultimo spalleggiato da due teorici dell’antieuropeismo come Claudio Borghi e Alberto Bagnai. Su posizioni simili si sono posti anche i leader di altri paesi europei come l’Ungheria, la Polonia e l’Austria, che nei mesi precedenti le elezioni europee del 2019 avevano aderito alle istanze sovraniste di Lepen e Salvini. L’esito delle urne - con una partecipazione superiore al 50% da parte dei cittadini - ha visto la sostanziale sconfitta delle posizioni antieuropeiste, certificata in seguito dall’inaspettato voto del M5S a favore della nomina di Ursula von der Leyen a Presidente della Commissione europea.

Il dichiarato impegno di quest’ultima per la ripresa del progetto europeo ha aperto una nuova fase, con una decisa accelerazione in termini di coesione dell’Unione europea sollecitata dalla terribile crisi economica e sociale causata dalla pandemia. Gli ultimi nove mesi certificano tutto ciò, con un vigoroso cambiamento della politica economica europea grazie al ruolo determinante svolto da Angela Merkel, presidente dell’attuale semestre europeo, e all’appoggio di Francia, Italia e Spagna.

L’Europa infatti, da irremovibile custode del rigore economico, del bilancio in pareggio e della lotta al debito e agli aiuti di Stato, ha energicamente corretto il tiro, dicendo no a quell’austerità che non avrebbe consentito di contrastare la crisi e porre le basi per pervenire ad una sia pur lenta normalizzazione dell’economia. Con la sospensione del Patto di Stabilità fino al 2022 (ma già si parla di un’ulteriore proroga) è stata resa possibile ai vari paesi l’adozione di politiche espansive attraverso un aumento del debito e del deficit, che hanno consentito significativi aiuti di Stato nei settori dell’economia più colpiti dalla crisi. Una svolta ancor più significativa, poi, è stata rappresentata dalla costituzione di un debito comune dei 27 paesi della comunità, che sarà finanziato attraverso l’emissione di Eurobond già accolti con grande favore dai mercati. Così, attraverso il bilancio pluriennale Ue e il Next Generation Ue, sono stati stanziati 1.800 miliardi di euro per finanziare la ripresa e consentire di rivoluzionare il modello di sviluppo Ue, ricucendo anche gli strappi tra i paesi del Nord, del Sud e dell’Est. A tutto ciò si è aggiunto un attivismo crescente della Bce che, abbandonando le tradizionali posizioni antinflazionistiche, ha assicurato la necessaria liquidità al sistema finanziario.

Una così radicale e rapida svolta nella politica europea sarebbe stata ben più complessa se non fosse intervenuta la Brexit. L’Inghilterra ha sempre visto con malcelata diffidenza lo sviluppo del progetto europeo. Lo testimoniano la sua mancata adesione all’euro e i tanti veti posti ad ogni provvedimento tendente a dare una svolta più solidale all’Europa, resi possibili dall’esistenza del voto unanime per le deliberazioni del Consiglio europeo.

Sicuramente avrebbe posto il veto anche all’intesa raggiunta sul bilancio pluriennale 2021-2017, impedendo di far partire la procedura di collocamento sul mercato dei 750 miliardi di prestiti e sovvenzioni del Next Generation Ue. In realtà, un veto all’approvazione del bilancio pluriennale è stato recentemente posto anche da altri paesi sovranisti come Polonia e Ungheria che, non giudicati rispettosi dello stato di diritto (indipendenza della magistratura dal potere esecutivo e libertà di espressione) rischiavano di essere esclusi dall’erogazione dei fondi (rispettivamente 62 e 20 miliardi).

In presenza di questa situazione di stallo, Francia e Olanda hanno ventilato la possibilità di dar vita ad un accordo intergovernativo a 25 per avviare la fase esecutiva del Next Generation Ue, escludendo Varsavia e Budapest. Angela Merkel, contraria a qualunque «Piano B», da abile negoziatrice è riuscita a raggiungere un’intesa che ripropone l’unità e mette il Consiglio europeo in condizione di dare il via libera all’erogazione dei fondi. L’Europa ancora una volta c’è.

© RIPRODUZIONE RISERVATA