
L'Editoriale / Bergamo Città
Mercoledì 27 Agosto 2025
Speranza e fiducia, l’egoismo non serve
IL COMMENTO. «Fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso, mente lungimirante e fede coraggiosa». Non sono parole banali quelle con cui monsignor Beschi ha chiuso l’omelia per la solennità di Sant’Alessandro, né tanto meno possiamo considerarle un semplice invito all’intera comunità bergamasca in memoria del sacrificio del proprio patrono.

Per chi ne vuol cogliere il significato profondo, devono piuttosto assumere la dimensione di un impegno quotidiano, nella vita di tutti i giorni, perché la posta in gioco - il modo in cui abiteremo il nostro futuro prossimo e quello delle generazioni a venire - è altissima, e ci chiama in causa in prima persona, senza possibilità di sottrarci. Pena un futuro incerto, grigio, privo di umanità, dove anche lo spirito - l’essenza stessa del nostro essere uomini e donne - non avrà una «casa» dove crescere - e crescerci - non solo nel rispetto del prossimo, ma anche nell’accoglienza dell’altro e nella condivisione delle risorse con chi ne ha davvero più bisogno. Animato da una forte ispirazione spirituale e civica, monsignor Beschi si mantiene «alto», ma i riferimenti a quanto di insensato accade attorno a noi sono evidentissimi. «Saremo di meno, saremo più vecchi e sembra che vada bene così», sottolinea sconsolato il Vescovo riferendosi all’inverno demografico che sta «gelando» il mondo intero e l’Italia in particolare, ma «quale futuro abiteremo - si chiede - senza gli abitanti del futuro, quando anche i popoli giovani di altri continenti vengono tenuti il più lontano possibile rappresentandoli sprezzantemente come invasori?». La risposta la conosciamo già, ma preferiamo continuare a considerare l’altro un nemico da tenere ben distante anziché una risorsa da valorizzare, e non solo per contrastare la denatalità ma anche la scarsa produttività che caratterizza il sistema trainante della nostra economia. Non è solo la difficoltà nel trovare una casa dove poter crescere una famiglia che reprime il desiderio dei giovani di generare figli, o gli ostacoli economici e sociali con cui devono scontrarsi quotidianamente, quanto piuttosto «un ripiegamento delle ragioni del generare, addirittura del desiderio di generare, a fronte di possibilità sempre più ampie, e a volte inquietanti, che lo rendono possibile». Serve una comunità che alimenti fiducia e speranza, puntualizza Beschi, e la vera sfida è proprio questa. Come può una società come quella in cui viviamo generare simili sentimenti? Viviamo in un tempo contrassegnato da un individualismo sfrenato, dove «l’altro» è completamente sparito o, se considerato, lo è solo se funzionale a qualcosa, alle nostre necessità piuttosto che al nostro successo personale. La relazione e la capacità di relazionarsi è il vero nodo da sciogliere, in un mondo ormai incapace di comprendere l’altro e i suoi bisogni. L’egoismo e l’egocentrismo che caratterizzano molti di noi ci impediscono di capire quanto sia importante - in una sana relazione sociale - comprendere cosa provi chi ci sta vicino. È il paradosso dei social, a cui affidiamo - senza viverle e senza pesarne le conseguenze - le nostre emozioni. Lo psicologo Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotauro, l’istituto di analisi dei codici affettivi, sottolinea - preoccupato - «l’educazione dissociata» che diamo ai nostri giovani, non insegnando loro cosa significhi oggi comunicare qualsiasi aspetto della vita privata a un popolo «non selezionato», che è appunto quello dei social. Dovremmo invece spiegare loro come proteggersi dal fatto che se condividono «con il mondo» gli aspetti della loro vita privata, anche i più intimi, si espongono inevitabilmente all’imprevedibile rischio di esserne travolti. Viviamo in una società che dà parola a tutti e dove la ricerca della visibilità punta sul tema che fa più notizia, e più l’argomento ha successo, più la gente si trasforma in «hater», a volte stupidi ma innocui, a volte, invece, molto pericolosi. Ma è proprio attraverso i social che abbiamo visibilità e diventiamo popolari. Una contraddizione che noi adulti contribuiamo pesantemente a portare avanti: da una parte facciamo di tutto per limitare l’uso dei cellulari, dall’altra non educhiamo i ragazzi a cosa significhi vivere in una società «onlife», iperconnessa, «dove - sostiene Lancini - si pornografizzano le emozioni, non le si vivono, ma le si rendono pubbliche, con pesanti ricadute sull’identità dei ragazzi. Nasce da qui la necessità di puntare senza indugio sulla relazione con l’altro». Tutto torna, dunque, ed è per questo che serve l’impegno di ciascuno di noi. Di tutti noi, non solo di qualcuno. Ricordiamocelo.
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