Tessitore di pace
con i piedi per terra

«Non basta preservare il carattere storico della città attraverso le sue pietre, ma è anche necessario preservare l’intreccio unico di relazioni di fedi, popoli e culture, senza esclusivismo. La natura di Gerusalemme è includere, non escludere. Come un microcosmo del nostro mondo globalizzato, questa città, se deve vivere la sua vocazione universale, deve essere un luogo che insegna l’universalità, il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione, un luogo dove il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della pace». In queste parole, contenute nel libro «Il villaggio dell’educazione. Un incontro tra i figli di Abramo sull’uomo creatura di Dio», è condensata la via d’uscita al conflitto israelo-palestinese secondo padre Pierbattista Pizzaballa, 55 anni, nominato Patriarca Latino di Gerusalemme da Papa Francesco. Quando venne scelto come Custode di Terra Santa nel maggio 2004 (il più giovane a ricoprire l’incarico: aveva 39 anni), il religioso bergamasco rilasciò un’intervista al nostro giornale nella quale profeticamente disse a proposito del Medio Oriente in preda a conflitti: «Non ci sono soluzioni a breve termine. Ne si possono imporre, nemmeno la democratizzazione (un anno prima era stato abbattuto il regime di Saddam Hussein e l’Iraq ancora oggi è in guerra, ndr). A volte sono necessarie forzature, certo, ma credo che la via normale è quella dell’educazione, attraverso politiche a lunga visione. Non ci sono soluzioni immediate. A tutti i livelli: religioso, politico, formativo».

Fine diplomatico, tessitore di pace con i piedi sempre per terra, uomo libero, Pizzaballa crede nella politica dei piccoli passi, nelle soluzioni dei conflitti attraverso il cambiamento delle persone e la testimonianza. Quando, nella stessa intervista, gli fu chiesto a cosa si deve la presenza dei francescani in Terra Santa da 800 anni, rispose così: «Da un lato allo stile francescano credo, una presenza che non si impone. Ci siamo proposti con molta semplicità, umiltà e caparbietà. E poi tanta fede: la nostra è un’opera del Signore, non degli uomini». Quest’ultima evidenza è il cuore dell’opera del nuovo Patriarca, ribadita in più circostanze: sia fatta la Tua volontà, come recita il Padre Nostro. Uomo schivo ma dolce, è anche molto autoironico.

Alla domanda come la sua famiglia avesse accolto la nomina a Custode, disse: «A essere sincero non ha capito cosa è il Custode. I miei genitori sono persone molto semplici, contadini originari di Brignano, sanno chi è il preóst ma non il Custode. Però sono contenti, capiscono che è una cosa importante». Quella di Custode – fu riconfermato per altri due trienni, nel 2010 e nel 2013 – è stata una grande esperienza di crescita, alla guida di 300 fratelli, una quarantina di luoghi santi e di 60 case in Medio Oriente più quelle sparse nel mondo, parrocchie, scuole e ospedali in Libano, Siria, Giordania, Israele-Palestina, Egitto, Cipro e Rodi. La nomina alla guida dei francescani di Terra Santa – che gli ha richiesto anche visite alle ormai ridotte comunità cristiane nella Siria in guerra - lo rese noto finalmente anche nella sua terra d’origine, lasciata a 11 anni per entrare nel Seminario francescano di Bologna, esperienza conosciuta durante un lungo soggiorno sulla riviera romagnola. Viene ordinato sacerdote il 15 settembre 1990. A ottobre di quell’anno è già a Gerusalemme: ha trascorso più anni lì che nella sua terra d’origine («Ma mi sento sempre molto bergamasco – disse ancora a L’Eco – e tra l’altro vivendo nella Città Santa, dove il problema dell’identità è molto forte, è importante avere chiara la consapevolezza delle proprie radici. Io so chi sono e da dove vengo. Questo mi aiuta a mantenermi libero nei confronti di tutti, anche psicologicamente»).

Nelle vesti di Custode nasce il rapporto con Bergoglio, allora arcivescovo di Buenos Aires: si recava nella capitale argentina dove ci sono una scuola e un convento francescani. Ebbero modo di frequentarsi e le occasioni di incontro si moltiplicano quando Bergoglio viene eletto al Soglio pontifico. È Pizzaballa a fare da guida a Papa Francesco nel pellegrinaggio in Terra Santa nel 2014, così come a Benedetto XVI nel 2009. Ed è il Pontefice nel 2016 a nominare il religioso bergamasco amministratore apostolico (con il compito anche di ripianare una situazione finanziaria precaria; viene ordinato vescovo nel settembre 2016 a Bergamo) del Patriarcato, istituzione nata in epoca crociata, cessata di esistere nel 1291 con la caduta di San Giovanni d’Acri e la fine del regno crociato in Terra Santa, ripristinata nel 1847 da Papa Pio IX che ne affidò la cura a italiani (con le due parentesi di mons. Sabbah, palestinese, e mons. Twal, giordano). Il Patriarca Pizzaballa è il decimo in ordine di tempo.

«Non è questo il momento dei grandi gesti, non è il tempo nel quale attendere dalle istituzioni religiose e politiche capacità di visione e di profezia. Le istituzioni arriveranno, primo o poi, ma nel frattempo bisogna lavorare e operare laddove le persone sono disposte a mettersi in gioco, a spendersi per ripulire il volto sfigurato della Città Santa attraverso le loro iniziative di dialogo e di incontro, di preghiera e di condivisione» dice ancora il Patriarca nel libro citato. Per lui in questa epoca sono importanti iniziative come quella dei giovani ebrei e cristiani arabi che si incontrano, si scambiano e leggono i rispettivi testi sacri per approfondire la conoscenza del prossimo. Piccoli, grandi passi, con i piedi per terra.

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