Transizione ecologica, laboratorio bergamasco

BERGAMO. Oggi in allegato con il nostro quotidiano trovate il centesimo numero di eco.bergamo.

Dieci anni fa avevamo lanciato una scommessa: se l’ecologia si radica a Bergamo, una delle provincie più industrializzate d’Europa, si può sperare che attecchisca ovunque. In cento edizioni eco.bergamo ha documentato quanto la sensibilità ambientale si sia profondamente diffusa nel nostro territorio al punto che possiamo considerare la nostra provincia come un laboratorio della benedetta «transizione ecologica» di cui tutto il mondo parla, a volte a sproposito.

Ben sappiamo che l’economia locale dipende in gran parte da quella tedesca. E c’è qualcosa di tedesco nell’approccio della nostra gente all’ambiente. Un misto di poesia e pragmatismo. Lo si vede specialmente negli imprenditori e, sorprendentemente, in quelli manifatturieri. La domenica non è raro incrociarli in impegnative camminate in montagna e vedere che allo yacht preferiscono la bicicletta. Non è un caso perciò che gli ambiti dove più si è investito per la tutela dell’ambiente siano proprio le industrie più energivore: siderurgiche, chimiche, meccaniche. Si dirà: ci sono leggi molto esigenti. Vero, ma non sempre vengono rispettate, come ahinoi si è visto in altre parti d’Italia. I marchi più noti dell’industria bergamasca sono all’avanguardia anche nelle innovazioni verdi, e potremmo insignire la nostra provincia del primato dell’economia circolare per come i processi di produzione in settori delicati quali i metalli, gli imballaggi, i gas, il tessile siano oggi quasi completamente alimentati da materiali riciclati.

Se le industrie trainano, le persone non sono da meno. Nei comportamenti individuali i bergamaschi in gran maggioranza hanno interiorizzato la cura per l’ambiente. Dalla raccolta differenziata dei rifiuti, al boom degli acquisti a chilometro zero, fino al presidio degli spazi naturalistici si può mettere in fila un primato dietro l’altro. Se il resto d’Europa, per non dire del mondo, imitasse l’industria e gli abitanti di Bergamo, probabilmente il fatidico obiettivo del contenimento a 1,5 gradi del riscaldamento globale si potrebbe raggiungere.

C’è però un rovescio della medaglia, e su questo dobbiamo migliorare. Ed è nel punto di cui siamo giustamente più orgogliosi: il primato del lavoro. Per i bergamaschi ogni minuto sottratto al lavoro è tempo perso. Quindi non sopportano la lentezza dei mezzi pubblici e intasano le strade con un numero di automobili veramente eccessivo (più di 703.000 su un milione e centomila abitanti), salvo lamentarsi per le code che essi stessi causano e pretendere continuamente nuove strade o peggio finire vittime di incidenti che avvengono in gran parte nel viaggio casa-lavoro.

Nel lavoro prevale una logica quantitativa e ad essa si sacrifica troppo. Così nella Bassa pianura si stanno svendendo aree agricole enormi che verranno asfaltate da giganteschi magazzini, che ben poco hanno di manifatturiero. Ciò aumenta il traffico pesante e favorisce la crescita di ulteriori insediamenti che produrranno altro traffico e il bisogno di nuove strade.

Una transizione ecologica integrale richiede perciò il cambiamento della cultura del lavoro. E anche in questo gli imprenditori possono fungere da leader. Accelerare la trasformazione della qualità dei processi produttivi e dell’organizzazione delle aziende, in modo da utilizzare al meglio le dirompenti innovazioni digitali e creare un ambiente che permetta un maggior benessere e sicurezza ai lavoratori è un requisito quasi obbligato per restare competitivi. Lo chiedono soprattutto i giovani, che sono i portatori delle nuove competenze, ma anche quelli che esigono un futuro sostenibile.

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