Turchia aggressiva
nel silenzio

Una potenza regionale con ambizioni mondiali, retta da un «Sultano» che è riuscito ad appiattire ogni forma di opposizione, politica, giornalistica e cultura, con l’intimidazione violenta e l’abuso della carcerazione, applicando un’ideologia che gioca sul binomio islam-nazionalismo. C’è una sorta di soggezione da parte di quel che resta della comunità internazionale verso la Turchia del presidente Recep Erdogan, al quale è concessa senza colpo ferire la violazione dei diritti civili e internazionali. Dopo aver trasformato in moschea il museo (ex Basilica) di Santa Sofia a Istanbul, senza alcuna mediazione con i cristiano-ortodossi, il leader che spadroneggia ha ripetuto la mossa con un’altra delle principali attrazioni turistiche della città sul Bosforo, la chiesa bizantina di San Salvatore in Chora, museo dal 1945. Appropriazioni unilaterali, con la complicità del Consiglio di Stato, ormai depurato da ogni giudice inviso al «Sultano», il quale in questi giorni ha inanellato altri passi pesantemente contestabili.

Ha minacciato la Grecia per aver deciso da martedì scorso di avviare esercitazioni militari della sua flotta per tre giorni nella zona intorno a Creta. Nella stessa area, il Mediterraneo orientale, dove, in modo molto contestato la Turchia ha dato corso recentemente a ricerche con navi da perforazione energetica, alla caccia di colossali giacimenti di gas e di petrolio presenti in profondità.

Ma il passo più grave e cinico Erdogan lo ha compiuto sempre in questi giorni nel nord est della Siria, chiudendo l’afflusso di acqua e sottoponendo migliaia di persone a rischi di disidratazione e a problemi igienico-sanitari. A questa mossa barbara hanno in parte sopperito gli assiro-cristiani, distribuendo contenitori con acqua offerti dalla Chiesa orientale, senza distinzioni religiose. Il «Sultano» vuole rimandare almeno due milioni di profughi siriani, attualmente in Turchia, in questa sottile striscia di territorio (profonda 30 km e lunga 480, fino all’Iraq) oggi amministrata dai nemici curdi. Il governo di Ankara ha già presentato i progetti di villaggi, scuole, moschee e ospedali che saranno costruiti per ospitare il ritorno in patria dei rifugiati. Un disegno da 27 miliardi di dollari, per cui Erdogan ha chiesto il contributo anche dell’Unione europea. Un’impressionante sostituzione demografica giocata sulla pelle delle vittime di una guerra interminabile.

E poi c’è la Libia, dove la Turchia è intervenuta manu militari spezzando l’assedio di Tripoli da parte delle truppe del generale Khalifa Haftar (sostenuto in particolare dai russi) a vantaggio del presidente legittimo Fayez al-Serraj. Ankara ha dispiegato anche i suoi imprenditori che stanno prendendo il controllo di snodi importanti dell’economia e della produzione energetica libica. La nostra Eni resta solida, ma i contratti prima o poi scadono e Tripoli potrebbe a un certo punto essere costretta a privilegiare gli uomini di Erdogan. Il «Sultano» avrebbe poi voce anche sui flussi migratori. Già oggi detiene 3 milioni di siriani per conto dell’Europa, che ha staccato un assegno di 6 miliardi di euro affinché i profughi non proseguissero verso gli Stati della Ue. Una carta che viene usata anche in modo ricattatorio. Ankara nelle scorse settimane ha riaperto i cancelli verso la rotta balcanica, sulla quale sono affluite migliaia di persone, in fuga anche da Iraq e Afghanistan. Un segnale al vecchio continente: non vi venga in mente di intromettervi nei nostri affari. Nello scorso giugno il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è stato in visita ad Ankara e ha definito la Turchia «importante partner commerciale» dell’Italia. Già, ma il resto?

© RIPRODUZIONE RISERVATA