Umanesimo e tecnica per la scuola da innovare

ITALIA. Le scuole tecniche sono al centro del progetto del governo. Le imprese faticano a trovare manodopera qualificata. Si cercano elettricisti/ termoidraulici, nella media qualifica progettisti elettrici, nell’alta qualifica, ingegneri informatici, operatori software, analisti data e non si trovano.

La scuola non incide in modo efficace perché spesse volte sforna diplomati con preparazioni generiche. Per le imprese sono un extra costo perché vanno poi istruiti sul piano operativo. L’Italia ha un buon sistema formativo, molto meglio di altri Paesi. Manca quello informativo, cioè tarato sulla necessità di stare al passo con le innovazioni tecnologiche. In breve manca il raccordo organico con il mondo produttivo. Questo ha spinto i governi italiani degli ultimi anni ad ispirarsi al modello tedesco della formazione duale cioè in collegamento con le imprese. Teoria scolastica poi applicata direttamente sul campo. Il praticantato finalizzato alla formazione sul posto di lavoro. Questo spiega tra l’altro perché sia facile per uno studente in Germania trovare uno stage a volte anche retribuito. Per l’azienda è un investimento che spesso non viene monetizzato direttamente nel proprio apparato produttivo. Il candidato infatti può andare altrove, alla concorrenza ma rimane sempre un vantaggio perché lo stesso accade anche alle altre imprese.

È la capacità competitiva che conta, cioè essere appetibili non solo per il cliente ma anche per il collaboratore. E questo a maggior ragione in un momento in cui la forza lavoro manca. In Italia si fa più fatica. Le medie imprese italiane non dispongono di forza finanziaria in ragione della loro piccola taglia e quindi hanno difficoltà a finanziare piani a lungo termine. Il passaggio dalla preparazione generica a quella specializzata lo si percepisce subito nella difficoltà a trovare i profili professionali richiesti ma poi non si riesce a porre in essere contromisure. Questo spiega anche l’attivismo del governo attuale che vuole appunto porre attenzione agli istituti tecnici. Certo nell’approccio allo studio l’Italia parte dalla sua formazione umanistica. Per gli umanisti è il cervello, cioè la ragione il punto di partenza. E questo spiega anche il successo dei ricercatori di formazione italiana. L’Italia ha il numero maggiore di scienziati premiati in Europa con i Consolidator Grants, 47 nel 2020 seguiti dai 45 della Germania. Sono riconoscimenti istituti nel 2013 dal Consiglio europeo della ricerca, prima emanazione scientifica dell’Unione. La tecnologia, la ricerca scientifica si sviluppano al meglio se si parte da una formazione classica.

Il problema italiano è non aver coniugato nel tempo queste sue basi storiche con l’applicazione pratica ovvero con l’operatività. La dimensione empirica è sempre stata presente e la scienza sperimentale è nata con Galilei, quello che è mancato è la sua strutturazione e quindi il collegamento con il mondo esterno alla scuola. Il mondo anglosassone ha un approccio finalistico che mira al risultato comunque lo si raggiunga. Negli Stati Uniti c’è l’eccellenza della ricerca mondiale ma anche una «highschool» cioè la scuola superiore, dove si premia prima l’attività sportiva e l’educazione civica nazionalpatriottica, le altre materie seguono.

Per l’Italia la questione identitaria è non rinunciare alle proprie radici, alla formazione della persona umana, del cittadino. La preparazione tecnica al centro ma senza negare l’umanesimo perché il frutto più grande dell’umanesimo è la creatività. L’oro bianco del nostro tempo. Non c’ è bisogno di guardare lontano. In Baviera vanno in giro con i pantaloni di cuoio e il cappello con la piuma ma hanno le migliori università, la migliore ricerca tecnologica e un grande tessuto industriale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA