Un programma
di lungo corso

Due sole citazioni, Cavour e Papa Francesco, per un discorso tutto sommato breve ma particolareggiato e concreto per spiegare alla politica il suo programma per un «governo del Paese», senza aggettivi, sospinto dal Capo dello Stato ad affrontare una prova straordinaria come la pandemia e le sue enormi conseguenze, contando sull’unità di tutti: una sua larga ed eterogenea maggioranza ha ascoltato Mario Draghi, entrato per la prima volta in vita sua nell’aula del Senato da presidente del Consiglio, e ha applaudito più volte, anche quando ha sentito che sulla gestione del Recovery Plan «il Parlamento sarà informato» (niente di più) delle decisioni che verranno prese dai ministri, primo tra tutti il «tecnico» Daniele Franco, responsabile del dicastero dell’Economia.

Ma quello che Draghi ha delineato non è il programma di una breve supplenza, quello di chi deve garantire la continuità dello Stato in uno dei tanti momenti di confusione e di impotenza dei partiti. No, quello esposto da Draghi è un programma di lungo respiro che richiederà tempo: quello che conta, ha detto il presidente, non è appunto il tempo in cui si detiene il potere ma l’uso che di quel potere si fa per cambiare le cose e non solo per conservarlo.

E così sono state snocciolate le priorità assolute: campagna vaccinale da sveltire cambiando il modello del commissario Arcuri (meno primule e padiglioni griffati ancora da montare e più concretezza) e gestione dei 209 miliardi che la Ue ci ha destinato, tra sussidi e prestiti, da qui ai prossimi sei anni per superare la crisi sistemica che il virus ha provocato. Da questo punto di vista il lavoro di Conte e Gualtieri non verrà gettato ma semmai implementato, precisato, migliorato, con una più decisa strategia di Paese da qui al 2026 fino al 2030 e poi al 2050: l’obiettivo è costruire l’Italia del futuro dentro la transizione green che ormai si impone con la forza del cambiamento climatico. Innovazione, digitalizzazione, ecosostenibilità sono le parole chiave di Draghi.

E da qui discendono le riforme che da troppo tempo si invocano e che mai vedono la luce o al massimo si realizzano a pezzi, e non si sa se sia meglio o peggio. Riforma della sanità, del fisco, della giustizia civile, della pubblica amministrazione; fondi alla nuova scuola, parità di genere, Mezzogiorno, certezza delle norme e concorrenza, infrastrutture, tutti capitoli che rientrano in un’idea di Italia che premi l’efficienza, il merito, la progettualità e che scuota un Paese tanto ricco di potenzialità che però ristagna da troppo tempo, cresce poco, contempla la propria decadenza. E che in ogni caso, dice Draghi, può avere una prospettiva solo ancorandosi sempre più saldamente all’Europa e all’euro, scelte definite irreversibili - «A che serve la sovranità nazionale se si è da soli?» - tanto per far capire ai sovranisti di maggioranza e di opposizione qual è la direzione di marcia. L’Italia di Draghi è quella che torna alle sue tradizionali alleanze senza sbandate o pericolosi innamoramenti: i rapporti transatlantici con gli Stati Uniti sono un punto fisso, non la Russia di Putin o la Cina di Xi. Tutti elementi che Draghi intende valorizzare come capo del governo italiano e come presidente di turno del G20.

In definitiva non certo un discorso da «tecnico» chiamato a fare due o tre cose per poi lasciare il posto rapidamente alla politica momentaneamente imballata. No, è chiaro che quello di Draghi è un programma che ha come orizzonte temporale la fine della legislatura oltre l’elezione del nuovo capo dello Stato (sempre che non tocchi a Draghi di sostituire Mattarella). Adesso bisogna capire come la politica si disporrà di fronte a questa sfida: finora ha applaudito e ha perso tempo in qualche polemica di troppo, vedremo nel futuro quando le enunciazioni diventeranno decisioni.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA