Un successo italiano
di fronte al mondo

Adesso la palla passa ai delegati di COP26 in corso a Glasgow. Il testimone consegnato dai Paesi più ricchi della Terra riuniti al G20 di Roma non è stato quello auspicato dai più (giustamente) ambiziosi, ma nemmeno quello di un mortificante insuccesso diplomatico: quello sì avrebbe messo Glasgow in tale salita da presupporne il disastroso fallimento. Il «successo» di cui parla Mario Draghi, acclamato presidente delle assise in una Roma strepitosa e inimitabile, consiste nel fatto che il compromesso con i Paesi riottosi – Russia, Cina, India, Arabia Saudita ma anche Brasile e Australia – non è stato un cedimento. Anch’essi hanno riconosciuto nel documento finale – ed era la prima volta – che l’ambizione del contenere il riscaldamento a 1,5 gradi è indispensabile, che oltre quel limite non si può andare, pena conseguenze letali per l’intera umanità. Il problema è come e in che tempi procedere alle soluzioni per diminuire le emissioni di gas climalteranti.

L’Europa si è posta l’obiettivo ambizioso del 2050 per la neutralità ecologica; gli Stati Uniti di Biden, dopo l’incubo trumpiano, si sono riallineati alla politica ambientalista di Obama e sono ora un potente alleato nella decarbonizzazione, ma i cinesi, gli indiani, i russi rinfacciano agli occidentali ricchi di essere loro i principali inquinatori del passato e respingono la fretta dell’oggi, indicando semmai il 2060 come data limite. È tardi, lo sanno tutti, lo ha detto l’Ipcc più volte, bisogna accelerare dando un forte colpo di reni nei prossimi dieci anni. Ma il compromesso almeno letterale nel documento è stato raggiunto: «Neutralità energetica intorno alla metà del secolo». Parole, direbbero giustamente Greta e la regina Elisabetta, ma le parole fanno gli atti dei governi e dunque dei summit.

Il G20 forse è una sede troppo ampia per prendere delle decisioni vere però in passato si era arenato molto di più, questa volta la spinta c’è stata. Con altri risultati: la fine del finanziamento internazionale alle centrali di carbone entro la fine di quest’anno, l’impegno a riprendere un vecchio accordo che ipotizzava la devoluzione di 100 miliardi di dollari all’anno ai paesi più poveri per la crisi ambientale. Non è poco anche se, è vero, manca la data entro cui saranno chiuse le centrali a carbone esistenti. L’economia del fossile più inquinante, è ancora molto forte ed estesa non solo nei Paesi riottosi: non dimentichiamoci che in Europa la Polonia di carbone vive, e non sarà facile far chiudere al sovranista governo di Varsavia le sue miniere e le sue centrali.

C’è da aggiungere almeno un paio di risultati molto importanti: l’accordo sulla tassazione alle multinazionali, «traguardo inseguito da decenni», ricorda Draghi, e il superamento del protezionismo sanitario con il rinnovato impegno alla distribuzione di vaccini anti-Covid alle aree più svantaggiate del Pianeta. Non è poco. Anche da questo punto di vista hanno sicuramente pesato le parole del Papa in questi giorni di mobilitazione della diplomazia vaticana.

Ultima annotazione sull’Italia padrona di casa. Il nostro Paese esce trionfante da un G20 ben condotto, ben organizzato, riempito di contenuti dalla presidenza italiana. L’autorevolezza e il prestigio internazionale di Mario Draghi hanno fatto la differenza: l’impegno ambientalista di Roma è un distintivo che, grazie a lui e a Mattarella, possiamo esibire mettendosi all’avanguardia nel mondo. Non a caso ieri Joe Biden ha ripetuto i calorosi ringraziamenti al nostro governo che indubbiamente – se dobbiamo fare una notazione tutta interna – esce enormemente rafforzato dal G20 e molto al di sopra e lontano dalle beghe su cui amano trastullarsi in partiti in crisi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA