Un tagliando giovani alle politiche pubbliche

ITALIA. «Vivere per il presente è l’ossessione dominante - vivere per se stessi, non per i predecessori o per i posteri», scriveva lo studioso statunitense Christopher Lasch nel 1979, nel libro «La cultura del narcisismo».

«Stiamo perdendo rapidamente - proseguiva - il senso della continuità storica, il senso di appartenenza a una successione di generazioni che affonda le sue radici nel passato e si proietta nel futuro». Un’acuta considerazione sociologica che 45 anni dopo ha il merito di reggere alla prova del tempo, visto che l’eccesso di «presentismo» è uno dei tratti indiscussi della società contemporanea, e perfino alla prova dei dati. Si pensi al livello record dell’indebitamento pubblico, che nel nostro Paese si fa fatica a contenere (a fine 2023 era in lieve calo ma comunque al 137,3% del Pil), oppure al crollo della natalità (circa 380mila nascite lo scorso anno, il dato più basso di sempre). Ecco due indicatori, tra i tanti possibili, che risentono dell’«ossessione dominante» per il presente e che proiettano un’ombra sul futuro del Paese.

Sia chiaro: alcune conseguenze del perdurante «presentismo», in Italia, hanno un’intensità tale da non dover attendere un lontano futuro per manifestare i loro effetti negativi. Causa denatalità, per esempio, l’assottigliamento del capitale umano è già in corso da vent’anni. Le giovani generazioni sono molto meno numerose e, magari anche per questa ragione, risultano spesso penalizzate nel momento in cui si tratta di allocare risorse finanziarie o anche solo la giusta attenzione. La Fondazione Bruno Visentini da anni elabora un «Indice del divario generazionale» - che tiene conto di variabili come salute, benessere, sicurezza, ambiente, welfare, partecipazione democratica - per misurare il ritardo accumulato dalle nuove generazioni rispetto alle precedenti nel raggiungimento dell’indipendenza economica e sociale. «L’indice, rilevato per la prima volta a partire dalla crisi finanziaria del 2007, ha raggiunto il suo apice a 145 punti nel 2014, rispetto al valore di riferimento di 100 del 2006 - si legge in uno studio di Luciano Monti, docente alla School of government dell’Università Luiss -. Tuttavia, anche con i segnali di ripresa del Pil tra il 2015 e il 2017, non si è verificato un miglioramento sufficientemente significativo nel ridurre tale divario».

Adesso l’indice segna 133. Per avere un ordine di grandezza, nel 2006 un giovane doveva superare un ostacolo alto un metro prima di poter correre alla pari di un concittadino più anziano; oggi l’ostacolo è alto un metro e trentatré centimetri. I giovani italiani escono sempre più tardi dalla casa dei genitori, entrano sempre più tardi in una propria casa e nel mercato del lavoro. Luigi Einaudi nei suoi scritti sul «buongoverno» pubblicati nel 1954 sosteneva che semplificazioni legislative e liberalizzazioni dovessero essere difese con «una lunga faticosa difficile contrastata opera di educazione economica, sociale e politica, rivolta a persuadere il cittadino (…) che una certa politica è quella più confacente all’interesse dei più dei viventi e delle generazioni venture». Perché la politica riprenda il controllo del tempo, in particolare del futuro, è necessaria una strategia complessiva, ma occorrerà pure cominciare da qualche strumento concreto. La «Valutazione di impatto generazionale» delle leggi è uno di questi strumenti. Il suo obiettivo, sulla scorta di esempi europei come lo «Youth check» austriaco o lo «Jugend check» tedesco, è promuovere l’equità intergenerazionale, valutando gli effetti - economici, sociali e ambientali - che le nuove leggi potranno avere su giovani e generazioni future. «Uno strumento che permetterà ai nostri governi di non avere più lo sguardo puntato soltanto sul breve termine», lo ha definito il ministro delle Riforme istituzionali e della Semplificazione normativa, Maria Elisabetta Alberti Casellati, presentando in pubblico un disegno di legge approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri e che introduce deleghe all’esecutivo in questa direzione. «Si tratterebbe di un obbligo in sede di esercizio dell’iniziativa legislativa del Governo - ha spiegato Casellati -. Un’analisi preliminare finalizzata a rispondere al quesito: quale sarà l’impatto di questa legge sui giovani under 35? E quali vantaggi comporterà sul medio e lungo termine anche per le generazioni future?». Porsi domande simili, ed essere chiamati (per legge) a rispondere davanti all’opinione pubblica, sarebbe senz’altro un passo in avanti per tutti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA