Una storia (In)finita e le risposte necessarie

L’ANALISI. «Se non comprendiamo fino in fondo che la logistica è alla base della nostra competitività, difficilmente potremo andare incontro a una nuova stagione di sviluppo». Sono le parole dell’allora presidente della Camera di Commercio, Roberto Sestini, pronunciate in un convegno del febbraio 2006.

Diciassette anni dopo Bergamo si ritrova senza uno scalo merci, e l’epilogo è di quelli assolutamente attesi. Anzi, scontati. Quanta acqua è passata sotto i ponti dall’ipotesi Interporto in quel di Montello, ovvero la madre di tutte le battaglie della logistica nel nostro territorio? La risposta è abbastanza sconfortante: 32 anni. La Sibem, acronimo di «società per l’interporto di Bergamo e Montello» è stata difatti fondata nel 1991, salvo venire messa in liquidazione nel 2013 a causa dell’impossibilità di realizzare l’infrastruttura. Sulla quale si era spesa la politica bergamasca a più riprese (e di tutti i colori), per tacere del mondo imprenditoriale e associativo.

Intendiamoci, non che in questi anni le cose siano rimaste ferme: il mondo produttivo bergamasco è da sempre abituato da un lato a fare nozze con i fichi secchi (soprattutto sul versante delle infrastrutture) e dall’altro a colmare ogni gap possibile con una dose d’innovazione che è quasi naturale. Ma è di tutta evidenza che l’assenza di un polo intermodale lo stia penalizzando e non poco.

Qui non è una questione di spazi o luoghi, ma di sistema: lo scalo merci in città, praticamente a metri zero dal centro era una soluzione del tutto anacronistica e per nulla rispondente alla esigenze delle realtà produttive del territorio che, non a caso, in questi anni (pardon, decenni) ha fatto da sé nell’attesa modello Godot di una nuova futuristica struttura. A Montello o in ogni dove. Quei binari tra via Gavazzeni e piazzale Marconi rispondevano alle esigenze delle industrie del primo ’900 che sorgevano nelle immediate vicinanze dello scalo: basta fare un giro lungo via Bono per coglierne ancora significative testimonianze. Ma da anni ormai queste realtà hanno abbandonato il capoluogo e si sono via via collocate lungo le principali vie di comunicazione, anche per abbattere quel deficit di competitività di prodotti che, per citare le parole di un noto imprenditore seriano «perdevano valore appena varcata la soglia della fabbrica». Perché fermi perennemente in coda.

Fa decisamente specie ritrovarsi ancora dopo decenni a discutere da un lato dello smantellamento (più che annunciato) dello scalo merci cittadino, destinato a cedere il passo - con tempi e modalità si auspica certi e celeri - a quella creatura quasi mitologica che da anni aleggia sulla città e chiamata Porta Sud, e dal’altro della totale assenza di una soluzione alternativa moderna, sostenibile e soprattutto all’altezza di un territorio che fa del manifatturiero e della predisposizione all’export uno dei suoi indubbi punti di forza. È come se i progetti e la realtà seguissero due strade parallele, anzi nella fattispecie binari, incapaci di trovare un punto di sintesi. E soprattutto di mettere a terra una soluzione.

Di località possibili sul territorio ne sono state citate una marea in questi anni, ogni volta annunciate come definitive e risolutive, salvo rimanere tutte sulla carta. Ora si guarda quasi naturalmente a Sud, a Cortenuova , in quella Bassa che con la Brebemi e l’alta velocità ferroviaria ha conosciuto un prevedibile sviluppo, al punto tale che una possibile struttura intermodale potrebbe rientrare nella programmazione nazionale, uscendo così dagli stretti confini provinciali o regionali. L’auspicio è che si faccia presto e che non si perda altro tempo in questa storia (in)finita: lunedì dallo scalo merci parte l’ultimo treno e il mondo imprenditoriale bergamasco non può correre il rischio di trovarsi su un binario morto.

Occhiello

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