Ungheria e Polonia
ambigue con l’Europa

«Meno male che è la Germania ad avere la presidenza semestrale dell’Unione europea!». Per giorni non si è sentito altro nelle stanze del potere Ue. La forza diplomatica di Berlino può fare la differenza
tra fallimento e successo. Il maxi-piano finanziario, che comprende anche la risposta alla crisi del Covid-19 con le sue astronomiche cifre in migliaia di miliardi di euro, da approvare all’unanimità, è rimasto fermo per settimane per la minaccia di veto di Polonia e Ungheria.

l nocciolo del contendere è che Bruxelles ha legato l’aprire i cordoni della borsa - che comprende la prima storica condivisione di debiti tra i Ventisette - al rispetto dello stato di diritto. In sostanza, soldi in cambio di valori. I governi conservatori di Varsavia e di Budapest, invece, hanno collezionato negli ultimi anni una lunga serie di richiami comunitari, e anche qualcosa di più. L’attacco contro l’indipendenza della magistratura in Polonia, ad esempio, non ha eguali nel Vecchio continente.

L’allargamento ad Est dell’Ue, il primo maggio 2004, fu dettato soprattutto da questioni geopolitiche e dalla necessità di fuga da un disastroso abbraccio con l’altro Polo continentale. Le generose successive «leggi finanziarie» comunitarie sono state il tentativo di scusarsi con quella parte di Mitteleuropa, abbandonata tra le grinfie di Stalin dopo il 1945. Così, grazie a quegli euro ben spesi, Polonia e Ungheria hanno costruito quelle infrastrutture che sono state il volano dei loro recenti successi economici. Nei summenzionati Paesi si osserva un rilevante scollamento tra le città - più progredite e progressiste -, che hanno goduto dei frutti dell’adesione all’Ue (filo-europeiste), e le province conservatrici che ne hanno pagato il prezzo (generalmente euro-timide). A Varsavia nemmeno la pandemia ha fermato massicce manifestazioni di protesta contro il governo!

A livello nazionale sia in Polonia sia in Ungheria gli ultranazionalisti euroscettici sono al potere da anni. Kaczynski e Orban si sono spinti a creare una sorta di intesa anti-Centro.

A leggere le cronache di questi mesi torna alla mente la lettura di alcuni passaggi di «Requiem per un impero defunto» di Francois Fejto sull’impero austro-ungarico. Senza cadere in pericolose generalizzazioni sarebbe, però, importante far capire ai conservatori polacchi e ungheresi quali sono gli obiettivi e i valori dell’Unione europea e la ragione del suo essere. Non è possibile inoltre - sarebbe ormai il caso di evidenziarlo ufficialmente, dimenticandosi un po’ di modi politically correct - riempirsi il portafoglio di euro e contemporaneamente adottare politiche anti-europee.

I timori atavici di un’ampia fetta delle società polacca e ungherese sono tuttavia comprensibili: troppe le fregature collezionate nella storia. È, però, venuto il momento, di completare l’opera e di «fare gli europei» anche ad Est, in particolare nelle province. I conservatori sono al potere perché hanno intercettato la sete di giustizia sociale e di aiuti ad ampi strati della popolazione in difficoltà per passate politiche nazionali troppo liberiste.

Ma avere libera stampa, la magistratura indipendente dal potere politico, godere dei diritti fondamentali è ormai parte integrante dell’essere europei. Ai valori non si fanno sconti! Ricordare poi ai polacchi che il voto all’unanimità fu una delle cause della disintegrazione del loro Stato, la Rzeczpospolita, alla fine del 18° secolo e di oltre un secolo di dolori non sarebbe male. Viene un momento in cui è fondamentale serrare le fila: L’Europa ora non può più aspettare.

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