Usa-Cina, il virus
arma di guerra

Un giorno Mike Pompeo, segretario di Stato Usa, si lancia in una sparata contro la Cina, dicendo di avere «prove enormi» del fatto che il coronavirus è uscito dal laboratorio di Wuhan e che Pechino ha fatto di tutto per nasconderlo, lasciando poi il mondo in balia del virus. E il giorno dopo il ministro della Difesa Guerini (Pd) sente la necessità di ribadire per l’Italia che «il progetto europeo e l’alleanza atlantica restano i nostri pilastri», mentre Raffaele Volpi (Lega), presidente del Copasir (il Comitato parlamentare di controllo dei servizi segreti), temendo che sia a rischio il rapporto strategico con gli Usa, caldamente invita il Governo a dismettere le ipotesi di partnership con la Cina sul G5. Un caso? Ovvio che no. Perché contemporaneamente a quella contro il coronavirus, si svolge una lotta intorno al coronavirus che non è meno aspra né meno ricca di incognite.

L’accanimento con cui Donald Trump e i suoi sostengono l’origine artificiale della pandemia e ne attribuiscono la responsabilità alla Cina si scontra, come sappiamo, con il parere dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità), dell’intera comunità scientifica internazionale e persino dei servizi segreti americani, visto che pochi giorni fa l’Odni, ovvero l’ufficio di coordinamento dei diversi organi dell’intelligence, ha detto a chiare lettere che il coronavirus «non è prodotto dall’uomo né geneticamente modificato». Ma tutto questo a Trump non interessa. C’entra, ovviamente, la propaganda per la rielezione, che già soffre dei quasi 70 mila morti e delle performance comunicative non certo esaltanti del presidente. Ma il punto vero è un altro. Von Klausewitz diceva che la guerra è la politica fatta con altri mezzi. Ebbene, anche il virus lo è.

E del contenimento della Cina, della sua espansione oltre le tradizionali aree di influenza in Asia e, soprattutto, della sua marcia prepotente verso l’affrancamento da una cronica inferiorità scientifica e tecnologica, Trump ha fatto una delle architravi della sua presidenza. Il «caso Huawei», l’azienda cinese che si propone agli europei per gestire il varo del 5G pur essendo sospettata di agire di concerto con le autorità di Pechino, e quindi di rispondere a una direzione politica e non industriale, è diventato famoso. Ma anche la pandemia ha portato brutte notizie ai sostenitori della supremazia tecnologica Usa. Gli americani hanno scoperto di dipendere dalla Cina per una lunga serie di strumenti essenziali: sono cinesi le aziende che controllano il 95% del mercato Usa degli antibiotici e che producono più di metà dei principi attivi dei medicinali che servono per curare gli effetti secondari del coronavirus e più di metà delle mascherine con valvola necessarie agli operatori della sanità. Sbaglierebbe, però, chi pensasse che la reazione di Washington si risolva nelle polemiche di Trump e nelle accuse di Pompeo.

La Casa Bianca sta tentando anche un’operazione molto più raffinata. In sintesi, sta cercando di staccare la Russia dall’alleanza strategica con la Cina. Quando Vladimir Putin e il principe saudita Mohammed bin-Salman si sono lanciati nell’assurda e autolesionistica guerra sul prezzo del petrolio, Trump si è molto speso perché trovassero un accordo, seppur tardivo e insufficiente. Lo ha fatto per difendere i produttori americani e per salvaguardare la tradizionale intesa con i sauditi. Ma avrebbe potuto tenere il piede sul freno e lasciare che la Russia consumasse le proprie riserve di valuta per contenere l’inflazione e andasse indebolita verso la recessione economica portata dal virus. Non lo ha fatto per non consegnare ancor più la Russia alle intese commerciali (e anche militari) con Pechino che, per essere uscita dalla pandemia prima e meglio (e chissà, forse proprio per aver nascosto qualcosa sulle origini e le dinamiche del contagio) di quanto stiano facendo Europa e Usa, ha già riavviato la propria macchina industriale.

È una partita feroce, dalle implicazioni gigantesche, che andrà avanti per molto tempo. Intanto dagli Usa partono gli avvertimenti nei confronti degli alleati. L’Italia, dobbiamo dirlo, ha tutte le caratteristiche per essere un’osservata speciale della Casa Bianca. Pesa nella Ue, gode di una posizione strategica sul Mediterraneo, attraversa continue turbolenze politiche, vive una crisi finanziaria quasi cronica, ha un Governo (questo come quello precedente) ideologicamente ibrido e di difficile definizione, ha un rapporto storicamente buono con la Russia e ne sta costruendo uno con la Cina. Tratti controversi che, a saperli gestire, potrebbero anche diventare punti di forza. Roba da cervelli fini e polsi fermi. Che non mancano, da noi, ma nemmeno abbondano.

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