Usa, la sclerosi
della politica

Ci sono molti modi per abbordare questa folle elezione presidenziale americana. E vanno tutti bene. A patto di sapere che nessuno di essi riuscirà a darci tutte le spiegazioni che cerchiamo. Nelle ore in cui scriviamo la sorte di Joe Biden e Donald Trump è ancora legata a percentuali minime, da misurare con sistemi di voto che variano da Stato a Stato e addirittura da contea a contea, più e-mail, lettere affidate a postini e altre stramberie. Verrebbe quindi da chiedersi, per cominciare, perché la superpotenza che detta il passo tecnologico al mondo continui ad affidarsi a una macchina elettorale così farraginosa, che spalanca le porte, a voto concluso, a una serie infinita di contestazioni e cause legali.

Qui, però, vogliamo affrontarla da un altro punto di vista. Con i 74 anni di Trump e i 78 di Biden, questa è la coppia di sfidanti più anziana di tutta la storia americana. L’età non sarebbe un criterio se non fosse evidente che in questo caso essa rivela una certa sclerosi del sistema politico americano. L’ascesa di Trump, primo candidato estraneo al sistema dei partiti a conquistare la Casa Bianca, ha messo a nudo il vuoto di personaggi che affligge il Partito Repubblicano. E lo stesso si può dire per il Partito Democratico: Joe Biden, teleguidato da Barack Obama, è una figura di mera transizione. È un politico noto e umanamente stimato. Ma ha scarso spessore ed è tutt’altro che un leader. Andava bene all’establishment del partito, tutto qua. Con Trump, visto anche il continuo ricambio di ministri, funzionari e collaboratori, è stato difficile capire chi abbia governato gli Usa in questi quattro anni. Qualcuno l’ha fatto, perché la politica estera e quella economica della sua amministrazione sono state meno erratiche di quanto a molti piaccia credere. Ma certo non era lui. Con Biden, al contrario, sappiamo benissimo chi governerà: i circoli vicini a Obama e ai Clinton. E di nuovo, non certo Biden.

Il governo degli apparati può anche funzionare, almeno dal punto di vista amministrativo. Ma prima o poi arriva il momento in cui serve quel qualcosa in più che solo un vero capo, una vera guida politica può dare. Lo si è visto bene con Trump e il Covid 19. Nella pandemia gli americani cercavano un leader che desse conforto e speranza alla nazione, hanno trovato un pasticcione che parlava a vanvera e infilava una sciocchezza dopo l’altra. E prima di diventare il candidato democratico alla Casa Bianca, anche Biden aveva una solida fama di gaffeur.

Tutto questo per dire che non è un caso se il dibattito delle idee è stato il grande assente della campagna elettorale, sostituito spesso dalla gara delle invettive. Trump e Biden si sono affidati ai luoghi comuni dei rispettivi schieramenti: la nazione per l’uno e la democrazia per l’altro, l’economia e la solidarietà, la ricchezza e il progresso, l’iniziativa e il consenso. Ma ci vorrà ben altro per poi governare un Paese che ha enormi risorse, anche intellettuali, ma è ora prostrato dalla crisi economica generata dalla pandemia, scosso all’interno dal demone del razzismo, insidiato all’esterno dalla crescita della Cina e dai cattivi rapporti con l’Europa. Chiunque stia per vincere mentre noi scriviamo o abbia vinto mentre voi leggerete, dovrà prendere atto di una realtà che già si intuiva ma che il voto ha reso evidente. Gli Usa sono spaccati in due. La «valanga democratica» non c’è stata. Nonostante che Biden sia stato il singolo candidato più votato di sempre. Non solo: la dimensione del consenso repubblicano rimane tale da far capire che Trump e il trumpismo (nazionalismo, gli interessi americani prima di tutto, protezione delle industrie Usa e così via) non sono un fenomeno occasionale o passeggero. Biden, se sarà presidente, non potrà non tenerne conto. E lo stesso vale, in senso inverso, per Trump. Anche perché la spaccatura sarà sancita, come pare in queste ore, da fatti assai concreti. Alla Camera la maggioranza andrà di sicuro ai democratici ma al Senato potrebbe restare ai repubblicani. Negli Stati e persino nelle contee gli eletti locali, democratici o repubblicani, potranno resistere in molti modi (per esempio, nella gestione delle forze di polizia) alle politiche del Governo federale. Il Presidente, Biden o Trump, dovrà comunque dedicarsi a una gigantesca opera di pacificazione.

Sono questi due i personaggi più adatti a una simile sfida? Viste le premesse, si può dubitarne. Ma dobbiamo sperare nel contrario. Perché, come disse una volta l’economista Nouriel Roubini, quando gli Usa starnutiscono tutto il mondo prende il raffreddore.

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