Vaccinazioni per ripartire
con il lavoro e le attività

La pandemia ha innescato una crisi violenta nelle nostre vite invitandoci a riflettere sulla nostra relazione con il mondo e nel mondo. La pandemia non è un fenomeno individuale, non riguarda solo il singolo, ma ci richiama al nostro essere fortemente interdipendenti dal punto di vista economico, politico, sociale, sanitario. Questo momento storico, senza precedenti, ci invita ad uscire dall’individualismo, ad unire le nostre forze e a cooperare, confidando nell’aiuto reciproco con responsabilità personale. La campagna di vaccinazione rimane l’unico strumento che ci

può permettere di tornare ad una vita di relazioni superando distanziamento e divieti. Non deve essere occasione di scontro e tifoserie, dobbiamo favorire un dialogo che crei un consenso favorevole verso la vaccinazione, senza giudicare, comprendendo le ragioni delle paure e delle fragilità umane. Ad oggi la legislazione non obbliga la generalità dei lavoratori e lavoratrici a sottoporsi a vaccinazione. Dove non vi è sorveglianza sanitaria specifica il datore di lavoro non è tenuto a controlli specifici, può proporre su base volontaria il vaccino, come già si fa in alcune aziende con il vaccino dell’influenza.

Un problema diverso si pone per chi svolge, invece, la propria attività nei servizi di assistenza e di cura dove non si deve salvaguardare solo la salute di chi opera, ma anche e soprattutto dei pazienti/degenti; in questo caso noi sosteniamo la necessità di vaccinazioni e in questo senso anche il governo centrale sta predisponendo una norma di legge dedicata. Oltre agli obblighi, credo che oggi ognuno di noi sia chiamato a valutare con la propria coscienza, con le proprie paure e perplessità, con la consapevolezza che la storia degli uomini ha già affrontato pandemie. Riconoscendo che anche la scienza continua ad evolversi e a migliorarsi e che dobbiamo avere fiducia in essa perché non esiste alternativa più efficace e sicura al metodo scientifico.

Noi, più di altri, dovremmo essere convinti della necessità delle vaccinazioni, noi che, colpiti per primi, nel nostro territorio abbiamo perso tanti cari: parenti, amici, conoscenti, medici, volontari, preti e anche sindacalisti che potrebbero essere ancora tra noi se avessero avuto anche loro l’opportunità del vaccino. Dovremmo essere convinti di farlo per trasformare la paura del vaccino nella forza e nel coraggio della memoria e della gratitudine per chi ci ha lasciato, per chi soffre ancora e per coloro che continuano a lottare e a lavorare instancabilmente, senza tregua, da oltre un anno, nei nostri ospedali, nelle nostre case di cura per salvare delle vite umane o per garantirci i servizi essenziali. Dovremmo farlo per aiutare tutti coloro che devono riprendere l’attività lavorativa perché rischiano di non sopravvivere.

Non possiamo lasciare spazio alla paura, alla rassegnazione o all’attesa. Dobbiamo tornare a riappropriarci delle nostre vite. La fiducia e la speranza di una ripartenza nei nostri luoghi di vita comune di relazione e di lavoro: famiglia, scuola, ospedali, oratori, uffici, aziende, ristoranti, negozi, sono la nostra risposta alla chiamata del nostro impegno civico a vaccinarci.

La vaccinazione è la precondizione indispensabile per una ripartenza, un atto individuale di responsabilità che ha una positiva ricaduta collettiva, il miglior modo per tutelare le persone che rischiano di perdere il lavoro e la propria attività. Una risposta corale di tanti «io» che diventano «noi».

*Segretario generale Cisl Bergamo

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