Vaccini ai poveri
La cura è per tutti

Non è passata inosservata la scelta di Papa Francesco di acquistare una dose di vaccino per 1.200 persone bisognose ed esposte maggiormente al contagio, il gesto profetico - «profetico» nel suo senso etimologico originario: un gesto che parla da sé e che fa parlare - di lasciare che la Settimana più Santa di tutte fosse inaugurata e attraversata da un momento così inopportuno e dirompente. Nei rumors che lo commentano risuona come un’eco che ha lo stesso sottofondo disturbante che fu proprio della lavanda dei piedi di Gesù - l’imbarazzante fuori luogo dell’Ultima Cena che fece arrossire i discepoli a tavola ma che, nel contempo, ha posto quell’argine che ancora oggi impedisce di considerare la fraternità cristiana come un’innocua e simpatica tavolata di amiconi. Fare i conti con quel pane che è il corpo di Cristo chiede la disponibilità a sporcarsi le mani con i piedi dei fratelli.

Da qui in avanti si inaugura qualcosa di nuovo. E Papa Francesco è particolarmente abile a sollecitare nelle coscienze la capacità cristiana di alternativa, la disponibilità a lasciarsi dare fastidio dalla vita altrui: è l’interruttore evangelico della lavanda dei piedi che ritorna, per fare scattare ancora una volta una logica differente, per accendere quella luce capace di increspare di domande la quieta crosta delle nostre routine.

Una vaccinazione audace: forse metà scandalosa (forse che altri non avrebbero avuto più «diritto»? diremmo con elegante perbenismo) e metà insufficiente (che cosa è questo a fronte di tanta gente? diremmo con calcolo estremamente lucido), ma totalmente miracolo. Sia per questi 1.200 bisognosi, poveri, emarginati e affetti da diverse patologie, sia per la Chiesa, a cui viene ricordata la potenza della carità evangelica, umanamente insufficiente ma feconda come il seme di un mondo nuovo.

Ai più non sarà sfuggito che si tratta del vaccino che per una certa contorsione mediatica è stato recepito dalla cultura popolare come il migliore, lo «champagne» dei vaccini diremmo, quello di Pfizer-BioNTech. Non si tratta di una contraddittoria trovata di marketing e nemmeno di uno spreco che il politically correct ci impedisce di chiamare così: è un gesto che viene da lontano. Affonda le sue radici nella tradizione della Chiesa per cui chi ha più strada da fare merita di più, esattamente come succede in famiglia per i figli che fanno più fatica: ci strappano una dose extra di cuore, hanno bisogno di più amore per potercela fare. Se il posto migliore è riservato per gli ultimi, nessuno rimane fuori, la logica dell’esclusione viene bandita per sempre.

È forse questa la grandezza vera di questo gesto, la lezione che fa da vaccino planetario contro la tentazione di una salvezza personale che non si curi della vita degli altri: ricorda alla Chiesa e a ciascuno che l’umanità è una famiglia da cui non possiamo chiamarci fuori, è una solidarietà fragile, 1.200 dosi «scomode» dunque, che si sommano alle 25 già fatte a gennaio ai senzatetto dei dintorni di piazza San Pietro e che aprono a ciascuno la possibilità di contribuire, grazie all’iniziativa del «vaccino sospeso» a beneficio di un’altra persona vulnerabile. Una catena di carità per impedire non solo il diffondersi del contagio, ma anche quello della chiusura autosufficiente dettata dalla paura; un umanesimo integrale che guidi il modello lungo cui immaginare il corso della ripresa. Sarebbe estremamente riduttivo e tristemente polemico leggere questi gesti solo nel loro significato puntuale, perdendo di vista il disegno unitario di cui fanno parte. Così scrive Papa Francesco nel messaggio destinato ai partecipanti delle prossime riunioni della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale: «La nozione di ripresa non può accontentarsi di un ritorno a un modello diseguale e insostenibile di vita economica e sociale», non può essere fatta valere come un ripristino della condizione pre-Covid, senza farsi realmente carico di un cambiamento. Come già affermava nell’enciclica Fratelli tutti: «Significa pensare e agire in termini di comunità. Significa che la vita di tutti è prioritaria rispetto all’appropriazione dei beni da parte di pochi. La solidarietà, intesa nel suo significato più profondo, è un modo di fare storia». Quello della lavanda dei piedi.

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