Val Brembana, piste chiuse e la voglia di rialzarsi

IL COMMENTO. «Un muro di gomma. Spingi, spingi, ma alla fine trovi sempre un muro di gomma». Il giovane sindaco di Foppolo Gloria Carletti, quando si candidò quattro anni fa, forse non immaginava la palude di nebbie che è costretta ad attraversare per venire a capo di una situazione intricatissima e avvelenata, quella del comprensorio sciistico di Foppolo-Carona-San Simone.

La spontaneità del suo discorso nell’ultimo Consiglio comunale, il tono così disarmato, la passione venata di disincanto che traspare dalle sue parole allarmate di fronte all’ipotesi di una stagione senza sci, segnano una cesura importante rispetto alla precedente amministrazione, quella del sindaco Giuseppe Berera, a cui (inchieste penali a parte) si deve una buona parte della responsabilità, morale e politica, dell’attuale disastro.

Quando dice «Le abbiamo provate tutte» Carletti dice il vero: ministero, Regione, prefetto… Il piccolo Comune super indebitato (non ha praticamente autonomia finanziaria e così sarà ancora per anni grazie all’eredità di una gestione sciagurata) ha bussato a tutte le porte, eppure nessuno è stato in grado di sbloccare la partita: da una parte (Carona) c’è un privato con il quale l’interlocuzione è diventata molto difficile e che non offre garanzie sufficienti ai Comuni (la revisione - obbligatoria e costosa - della seggiovia del Valgussera, strategica per l’intero comprensorio, sembra ormai stata rimandata fuori tempo massimo); dall’altra (Foppolo) c’è una gestione che, da sola (due seggiovie), non può sopravvivere.

Sullo sfondo, troneggia lo scenario desolante di San Simone, terzo pilastro del comprensorio, che si appresta ad attraversare il settimo inverno di chiusura. Cosa significa perdere la stagione sciistica, da queste parti, dove non se ne perdono una da quando la prima seggiovia entrò in funzione (fu il primo comprensorio sciistico delle Orobie) è qualcosa di difficile da accettare, ma purtroppo facile da immaginare. Vedi alla voce San Simone: impianti arrugginiti, parcheggi deserti, seconde case vuote, alberghi, negozi, bar e ristoranti chiusi. E che dire delle scuole sci con i maestri, i noleggiatori di attrezzature sportive, il personale degli impianti, gli esercizi lungo il tragitto, gli autotrasporti privati, i distributori di carburante?

Carletti e i suoi vogliono organizzare assemblee pubbliche a Foppolo, Carona intende fare lo stesso. «La gente deve conoscere in che situazione siamo, e deve sapere che la responsabilità di non aprire non può essere imputata ai Comuni. Servono soldi, servono investimenti» dice Carletti, che però in testa ha ben stampato quel «muro di gomma» che è sempre lì ad aspettare il prossimo tentativo di sbloccare la situazione. E quando ormai è sera e tutti si salutano, nella piccola sala del Consiglio di Foppolo, il senso di solitudine è una cappa opprimente.

Di fronte a problemi simili è evidente che questi amministratori hanno le armi spuntate. Non è più nemmeno loro facoltà l’esproprio, che poteva essere una via d’uscita interessante per sbloccare talune rigidità. Una soluzione arbitrale, da affidare a un garante autorevole nell’interesse delle parti e del territorio, potrebbe offrire una sponda solida a un nuovo, massiccio investimento: basta guardare qualche chilometro più a est per vedere che cosa sta diventando Colere, stazione sulla quale fino a un paio d’anni fa in pochi avrebbero scommesso, per capire quanto sia fondamentale sostenere lo sviluppo con un capitale importante.E qui potrebbe rientrare in gioco la politica, che su Foppolo e dintorni si è dolorosamente scottata, non riuscendo mai a intercettare, o a interpretare, quella spinta al cambiamento che, finora, nonostante la buona volontà (che da sola non basta) non è ancora arrivato.

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