Violenza da stadio
sconfiggere il cancro

I fatti, prima di tutto. A Milano, a Santo Stefano, prima della partita Inter-Napoli, ci sono state scene spaventose da guerriglia urbana. Si parla di un vero e proprio agguato teso da alcuni ultrà interisti (due arrestati e uno identificato dalla polizia), spalleggiati da altre tifoserie amiche a supporto, giunte persino dall’estero, ai tifosi del Napoli, in arrivo con mezzi propri dalla città partenopea, si sospetta per depistare i controlli. Alla fine si è registrato un bilancio di guerra: quattro tifosi napoletani accoltellati, di cui uno in condizioni serie, e un supporter interista di Varese morto a seguito dell’investimento da parte di un Suv durante gli scontri nei pressi del Meazza. Non si tratta di incidenti casuali ma di una guerra premeditata. Basta vedere le armi proprie e improprie sequestrate dalle forze dell’ordine: spranghe, mazze, una roncola rimaste sul terreno all’accorrere dei rinforzi degli agenti. C’erano cattive intenzioni, probabilmente da entrambe le parti.

Uno schifo che non si riesce a fermare dopo vent’anni di restrizioni, sanzioni, riforme, chiusure degli stadi, Daspo, milioni e milioni spesi per arginare la violenza schierando truppe della Celere ogni domenica come all’inizio di un assedio, ammonimenti della Figc, campagne di stampa (blande), appelli al fair play provenienti dal mondo del calcio, dai giocatori agli allenatori (un po’ meno i presidenti). Anziché placarsi, la violenza allo stadio in Italia è diventata internazionale, con gruppi di ultrà di altre squadre che vengono a dar manforte ai facinorosi della squadra locali, in un gigantesco gioco di alleanze perverse, dentro una Rete di connivenze, grazie al magico sistema comunicativo dei social networks che permette comunicazioni velocissime e globali.

La guerra fuori dallo stadio naturalmente si riflette anche dentro: le curve continuano a inveire gridando a squarciagola il peggio del peggio, senza troppo preoccuparsi della partita (tanto è vero che i capi degli ultrà non la vedono nemmeno e rivolgono per 90 minuti le spalle al campo per organizzare il sacro rito domenicale degli slogan e degli striscioni). Si tratta di un tifo spesso viscerale, ignominioso e razzista. Il match Inter–Napoli, programmato per il posticipo a San Siro e iniziato per le strade con questo antipasto vergognoso di violenza in cui alla fine ci è scappato il morto, è proseguito dentro lo stadio con cori razzisti contro il calciatore del Napoli Koulibaly. L’aggressività verbale non ha però indotto l’arbitro a sospendere la partita come avrebbe potuto fare in virtù delle norme Uefa e dell’articolo 62 del regolamento federale. Da sempre gli arbitri devono decidere se sospendere la partita e mettere a repentaglio ulteriormente l’ordine pubblico dentro e fuori lo stadio o far continuare lo spettacolo per garantire la calma.

Resta l’interrogativo sul perché dopo decenni di questa situazione siamo ancora a un punto morto. Forse la risposta è da ricercare anche nella tolleranza (e in alcuni casi addirittura connivenza) di alcune società con le curve degli ultras (anche se non è il caso di Inter e Napoli). Come è possibile che a differenza degli inglesi (i quali hanno rivoluzionato tutto all’indomani della strage dell’Heysel) non siamo ancora riusciti a estirpare questo cancro, facendo del campionato più bello del mondo il peggiore in assoluto? Una domanda che riguarda tutti gli amanti del calcio e dello sport in generale.

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