Volontari anti Covid
Ne usciremo migliori

«Ne usciremo migliori» è stata una delle affermazioni più ripetute durante le lunghe e dolorose settimane del lockdown. Ascoltando i discorsi pubblici e privati, leggendo i giornali o i social, non si direbbe che questa certezza si sia realizzata. La vita è ripresa con i suoi episodi di indifferenza, di aggressività verbale, di risentimento anche perché la realtà non procede come si vorrebbe. L’emergenza Covid ha peggiorato le condizioni economiche di molte persone - da chi ha perso il posto di lavoro a chi ha dovuto chiudere la propria attività commerciale o industriale - che si aspettavano in tempi rapidi un aiuto dal governo, verso il quale ora esprimono giudizi negativi. Sono reazioni comprensibili da parte di chi si è trovato a passare nell’arco di qualche mese da un buon tenore di vita allo spettro della povertà. Meno comprensibili sono invece gli atteggiamenti di insofferenza verso le regole che ancora vigono per contrastare il coronavirus, non solo quelle personali - portare la mascherina, rispettare il distanziamento sociale e l’igiene delle mani - ma anche riferite a gruppi.

Come per la chiusura delle discoteche: giustamente Pasquale Di Molfetta, in arte Linus, conduttore radiofonico e televisivo, a lungo dj, ha ricordato che l’errore non è stato riserrare i luoghi del ballo, ma averli riaperti. Per natura sono spazi di assembramento ed è ridicolo chiedere a chi è in pista di mantenere due metri di distanza dal vicino. Sicuramente anche i titolari di queste attività sono penalizzati e andrebbe prevista una forma di sostegno.

Le disposizioni del governo in materia di Covid, redatte su suggerimento del Cts (Comitato tecnico scientifico) risentono poi del continuo braccio di ferro con le Regioni, che vorrebbero più autonomia decisionale e ogni tanto se la prendono. Ma forse abbiamo già dimenticato che se siamo usciti dalla fase buia del Covid lo dobbiamo a scelte che anche allora parevano eccessive, come il lockdown. Eppure se il numero di contagi e di morti è crollato lo dobbiamo proprio a quel periodo di isolamento collettivo e forzato. Oggi conviviamo con il coronavirus, ma non è scomparso, contrariamente a quanto sostengono i neo negazionisti: la fine dell’obbligo dello stare in casa non equivale a un «liberi tutti».

Tra i lasciti positivi di quei mesi, uno almeno conferma il «ne usciremo migliori»: è il numero di nuovi volontari che nel periodo peggiore della pandemia hanno aderito alle iniziative di associazioni, gruppi e oratori e non hanno più abbandonato l’impegno gratuito verso il prossimo, facendo crescere il numero di aderenti al volontariato. È un fenomeno non quantificabile in numeri, ma dal grande valore umano. Hanno iniziato con attività semplici ma preziose come la consegna della spesa, dei pasti e dei farmaci a domicilio, una rete diffusa e vitale, e ora proseguono aiutando le famiglie colpite economicamente dalla pandemia o facendo compagnia ad anziani che vivono soli.

Il grande scrittore piemontese Cesare Pavese disse che «da uno che non è disposto a condividere con te il destino non dovresti accettare nemmeno una sigaretta». Un’affermazione perentoria per dire che non si può dare fiducia a chi preventivamente non è disponibile a costruire relazioni col prossimo e si chiude in una solitudine egocentrica, con la pretesa di bastarsi. Durante l’emergenza Covid si disse anche che da soli non andiamo da nessuna parte. Il grande valore del volontariato sta non solo nel rispondere gratuitamente a diverse necessità ma nel creare legami tra persone sconosciute, nel generare comunità vincendo la solitudine subìta, non quella cercata per essere liberi da vincoli verso gli altri e da responsabilità: questa forma è una patologia dei nostri tempi. Ma da soli non si va da nessuna parte.

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