Volontari in soccorso
Tra stati latitanti

Abiti, legna da ardere, tende e cibo destinati a centinaia di migranti della rotta balcanica che sopravvivono in Bosnia in campi d’«accoglienza» e in fabbriche dismesse tra la neve, privi di corrente elettrica, riscaldamento e acqua calda. È la risposta di associazioni di volontariato e di organizzazioni non governative a un grande dramma umanitario. Come si può del resto stare davanti a questa sofferenza senza agire?Per i cristiani c’è il vangelo di Matteo a ricordare che «”Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. Rispondendo, il re dirà loro: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”».

Tanto basta per darsi da fare. Per i non credenti è sufficiente un’umanità non repressa dall’individualismo per muoversi, per capire che nell’anno 2021 non ci possono essere persone ridotte a vivere come animali alle porte dell’Europa.

Mentre gli Stati latitano, la Caritas italiana ha risposto per prima, seguita dalla Croce rossa italiana. Ma anche Bergamo, che è legata alla Bosnia da una storia speciale di aiuto durante la guerra del 1992-’95, opera tramite la Caritas diocesana, oltre a una serie di gruppi, dalle parrocchie al Sermig Bonate. Basta poco per rendere appena più dignitosa la vita di quelle persone costrette al gelo e al degrado, condizione simboleggiata dal campo bosniaco di Lipa. Ad abitare questi luoghi immondi sono pakistani, bengalesi ma anche siriani, iraqeni e afghani, pure donne, anziani e bambini che scappano dalla guerra e secondo il diritto internazionale possono presentare domanda d’asilo. Si dirigono verso l’Italia soprattutto. Se individuati entro 10 km dal confine con la Slovenia, vengono respinti verso dove sono arrivati e poi in Croazia - qui subiscono violenze, furti di zaini, telefonini e sono privati delle scarpe - e quindi in Bosnia, fuori dai confini dell’Unione europea. L’Ue ha stanziato 88 milioni di euro dal 2018 per aiutare questo Stato a ospitare i migranti. Altri milioni sono stati destinati a Croazia e Slovenia ma non per usare i rifugiati come pacchi. Le istituzioni e le opinione pubbliche locali fanno muro all’accoglienza, anche se non hanno grandi comunità di stranieri. La Bosnia affronta ancora le ferite politiche e sociali del conflitto terminato 25 anni fa: infatti la Caritas bergamasca acquista in loco vestiti, coperte e legna da ardire, dando un po’ di respiro all’economia del posto.

L’Unione europea potrebbe sanzionare Slovenia e Croazia per il loro comportamento: quando hanno sottoscritto l’adesione all’Unione, hanno deciso di sottostare anche alle relative norme dello Stato di diritto. Ma l’Onu intanto non risparmia nessuno: le accuse di violenze ai confini dell’Europa si basano «su testimonianze credibili», sostiene l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, chiedendo agli Stati «di indagare e fermare queste pratiche». Il respingimento di chi ha diritto ad accedere all’asilo, ricorda l’Onu, è illegale. Argomento peraltro sposato dal Tribunale di Roma che di recente ha condannato il ministero dell’Interno italiano - ricorrerà in Appello – per le «riammissioni» informali in Slovenia, violando la Costituzione, la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue e l’accordo bilaterale con il Paese slavo nostro confinante. Giunti in Italia, ai migranti viene fatto firmare un foglio che pensano essere la richiesta di asilo e invece è un modulo di riammissione.

Eppure il numero di approdi nell’Unione europea diminuisce. Nel 2020 sono arrivate via mare e via terra 95 mila persone, con un calo del 23% rispetto al 2019 (123.700) e del 33% al 2018 (141.500). «Con così pochi arrivi, questa situazione dovrebbe essere gestibile. È deplorevole - rimarca l’Onu - che l’asilo rimanga una questione politicizzata e divisiva nonostante i numeri in calo». Le vie per gestire l’immigrazione sono state dibattute migliaia di volte: apertura di canali umanitari per chi ha diritto all’asilo, rafforzamento della cooperazione allo sviluppo nei Paesi poveri, lotta alla tratta, isolamento dei despoti che costringono le persone a scappare, stop alla vendita di armi ai Paesi in guerra o che combattono conflitti per procura. Mentre gli Stati discutono e violano il diritto internazionale, i volontari di fronte a persone maltrattate agiscono come dovrebbe fare ogni persona umana: danno soccorso.

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