Voto, una legge
per i migliori

È sbagliato fare ironia sulle (auto) demolizioni dei principi fondanti dei 5 Stelle, ormai cancellati pressoché al completo: manca solo il divieto di terzo mandato. Il tema in realtà è serio, perché riguarda la natura profonda della politica, che le improvvisazioni le fa poi pagare a tutti. Dalla crisi del populismo bisogna uscire vivi, se possibile con una buona legge elettorale. Certo, è comprensibile la denuncia di certe contraddizioni talora persino tragicomiche (uso sfacciato di auto blu, contenziosi sui rimborsi, residenze statali usate a sbafo), perché i grillini sono andati al potere con molta arroganza, sbandierando verità, a loro dire, sequestrate da ladri o da élite in malafede, tutte banca e finanza, stile Draghi, per capirsi. Ma il fallimento grillino deve insegnare qualcosa, e intanto scoraggiare altri emuli, perché, la prossima volta, potrebbe andare persino peggio. Potrebbe capitarci un Bolsonaro, scelto non per affidabilità (la pandemia lo sta affossando, e con lui un grande Paese) ma per il fascino decisionista, che piace sempre molto anche quando è accompagnato da pistole sul tavolo, squadroni di vendicatori e ministri poliziotti o militari.

Ma è pericoloso, si è visto, anche il folclore dei seguaci delle scie chimiche, del terrapiattismo, dell’ideologia no vax, dell’impreparazione degli ex commessi di mangimi promossi presidenti di commissione per l’Europa, degli stewart da stadio, delle laureate triennali installate con grande saccenza sulle scrivanie che furono di Quintino Sella. Limitarsi a denunciare questa inadeguatezza, risulterebbe però alla fine solo un po’ snob, davvero elitario. In fondo, il più grande sindacalista italiano, Giuseppe Di Vittorio, aveva la quinta elementare, ma sapeva imporsi a Valletta e De Gasperi. Anche Garibaldi non se la cavava bene con il congiuntivo.

Il punto, vogliamo dire, non è solo l’impreparazione, ma la filosofia semplicistica di chi è chiamato a governare e che oggi quindi non si rimangia le parole, semplicemente ha imparato la realtà. Se la democrazia rappresentativa, come dice con tono triste Giuseppe Conte, «non è eliminabile», ha senso che i parlamentari non siano solo appartenenti alle categorie opposte dei ricchi e dei disoccupati, come sta avvenendo sempre più. Devi pagarli (è così da oltre un secolo) senza chiedere scontrini, e non li mandi via dopo due giri, quando forse cominciano a capire qualcosa. E devi sapere che la politica costa (130 mila euro gli Stati generali online), e forse il finanziamento pubblico non è scandaloso. Lo è quello illecito.

E quindi è interesse di tutti non avere al comando dei dilettanti allo sbaraglio, o addirittura, come dice il comico Grillo, gente sorteggiata. Tanto più al giorno d’oggi, quando la politica è economia, geopolitica, globalizzazione, equilibrio tra scienza e interesse generale, e soprattutto mediazione, di cui è l’arte. Perché mediare significa interpretare la società, e non è da tutti.

Buttiamo via chi non è all’altezza, ma non mettiamo al loro posto gente qualunque, mettiamoci i più bravi, altrimenti la spirale del peggio scende ancor più. Non tutti i giorni si può andare a cercare un Draghi reduce da Francoforte o un Letta recuperato nelle aule della Sorbona. E dunque sarebbe bene fin d’ora ragionare su una buona legge elettorale, che aiuti a costruire la classe dirigente di cui abbiamo disperato bisogno. Dopo le delusioni del maggioritario che fu erroneamente presentato come una panacea, e non ha mai dato i frutti buoni del sistema - stabilità, chiarezza su vincitori e vinti, continuità programmatica - e ha presentato solo quelli cattivi - personalismo, settarismo, contrapposizioni muscolari contraddette dal trasformismo più scandaloso - c’è stata la stagione del neoproporzionale, oggi mascherato dall’unanimismo attorno a Draghi.

Mancano però idee definitive sulle prossime elezioni. Speriamo solo che ci vengano risparmiate le liste bloccate, i candidati scelti dall’alto, i collegi sicuri, con paracadute. Occorre un interesse a mettere in campo i migliori, scelga poi liberamente l’elettore, non il leader pro tempore. Anzi, è meglio che si smetta di cercare leader.

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