Oltre la sclerosi multipla a passo di danza e con la gioia di diventare mamma

Dal duro colpo della diagnosi al «sogno impossibile» della maternità che si è realizzato.

Non è soltanto la precisione dei movimenti di una ballerina a colpire lo spettatore durante una danza, ma più spesso l’energia del corpo e dello sguardo. E sono proprio questi i punti di forza di Marta Perna, 44 anni, di Curno.

Sono i suoi occhi e lo slancio del suo cuore a mostrare in modo limpido ed emozionante la bellezza e il coraggio che è riuscita a mettere in gioco per superare i limiti imposti dalla sclerosi multipla continuando comunque a ballare, che è la sua passione fin da bambina. La danza è davvero per lei «una poesia muta» come scrive il poeta greco Simonide.

Con lei c’è sempre la sua famiglia, la sua risorsa più importante: suo marito Cristian, la colonna su cui la sua vita si appoggia, il nido dove trova nutrimento e slancio anche nei momenti più difficili, il suo conforto. E poi Lorenzo, «un dono» sorride Marta, quel figlio di quattro anni e mezzo, che ora corre per casa ridendo mentre stringe nelle mani i pastelli colorati e le costruzioni, e che, secondo la scienza, «era un sogno impossibile».

La diagnosi e i segnali

Marta ha ricevuto la sua diagnosi nel 2016. Poi, andando a ritroso, ha cercato i segnali, le piccole anomalie a cui non aveva dato mai peso, disseminate nella sua storia : «Mi ricordo per esempio di una volta in cui al mare, mentre nuotavo, mi è sembrato di non riuscire a muovere la parte destra del corpo per qualche secondo. Avevo 24 anni, ero andata dal neurologo, ma dopo una serie di analisi, compresa la puntura lombare, l’esito era stato negativo, non avevano trovato nulla». Quello più eloquente era stato, forse, una stanchezza insistente: «Mi era capitato anche di soffrire di frequenti emicranie, ma le attribuivo a problemi di cervicale, anche per questi mi ero già rivolta a un neurologo. La debolezza, la fatica, non erano sintomi specifici. Pensavo che fosse colpa dell’età e dei miei numerosi impegni».

Nel 2016 Marta insegnava danza in diverse scuole e collaborava con alcune aziende con compiti amministrativi. Era un periodo complicato per lei anche dal punto di vista personale: «Mio marito ed io desideravamo tanto avere un figlio ma non ci riuscivamo. Dopo due aborti spontanei e tanto dolore avevamo iniziato un percorso di indagine e terapia al Centro di procreazione medico assistita dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Proprio il giorno in cui avrei dovuto iniziare la stimolazione ormonale, però, mi sono sentita male. Avevo la febbre alta, all’inizio credevo di avere solo un po’ di influenza, accompagnata da un mal di testa molto forte. Dato che quel giorno avrei dovuto iniziare la stimolazione ormonale, c’era in programma una visita dal mio medico, ma io non riuscivo neanche a salire sul lettino, mi sentivo irrigidita e impacciata nei movimenti, ho dovuto prendere la gamba destra e sollevarla di peso . Il medico, insospettito da questo impaccio motorio mi ha prescritto una visita neurologica d’urgenza. Era un venerdì, me lo ricordo bene, e il medico di guardia mi ha detto che dovevo sottopormi subito a una risonanza magnetica . Mi hanno ricoverato e nel giro di cinque giorni mi hanno sottoposto a una lunga serie di esami, compresa la puntura lombare, che mi terrorizzava, perché non sopporto neppure la vista degli aghi». Ha accolto la diagnosi con un misto di incredulità e di rabbia: «Ha rappresentato un colpo durissimo, mi è crollato il mondo addosso e non volevo rassegnarmi. La prima conseguenza, in quel momento per me devastante, è che non potevo continuare con le procedure per la procreazione medico assistita senza procurarmi danni alla salute. Mi hanno spiegato che avrei potuto avere figli, ma solo naturalmente. Allora, dopo i due aborti e tutte le analisi, ci avevano detto che era impossibile. Ci avevano spiegato che le probabilità restavano basse anche con la stimolazione ovarica, ma avremmo voluto comunque tentare. La decisione di rinunciare mi è costata molta sofferenza».

«Un dono grandissimo»

Marta ha cercato di proseguire con la sua vita come se niente fosse: «Non accettavo il pensiero di essere malata. Le parestesie degli arti si sono risolte e non volevo lasciarmi condizionare, perciò non ho cancellato nessun impegno . Insegnavo danza in diverse scuole, una delle quali si trovava in Svizzera, e svolgevo lavori amministrativi». Proprio quando era così assorbita da mille impegni diversi, e ormai aveva messo da parte il pensiero, si è accorta invece di essere incinta: «L’ho considerato un segno e un dono grandissimo. Ho avuto una gravidanza blindata, super-controllata dal Centro per la gravidanza patologica dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII, ma ero nel mio mondo fatato e dentro di me ero convinta che sarebbe andato tutto bene».

La malattia in quel periodo le ha dato tregua, è rimasta in disparte mentre lei si preparava a dare alla luce il suo bimbo: «Ogni tre settimane seguivo la trafila dei controlli e non mi preoccupavo di nient’altro. Mi sono sentita tranquilla, seguita con attenzione e questo mi ha permesso di vivere l’attesa con serenità. Anche il parto è andato bene, e quando ho avuto Lorenzo fra le braccia mi sono sentita incredibilmente felice».

Dopo la nascita del bambino, però, la sclerosi multipla si è risvegliata: «Me l’aspettavo - sottolinea Marta - mi avevano avvertito. Nella risonanza si è mosso qualcosa, ma io apparentemente stavo bene, a parte la stanchezza. Quando ho ripetuto l’esame, un anno dopo, c’era una seconda lesione e i medici mi hanno imposto di iniziare una terapia . L’estate del 2018 è stata la peggiore della mia vita, perché ho dovuto affrontare e domare la paura delle iniezioni per prendere i farmaci che mi avevano prescritto. Mio marito è stato paziente, mi è sempre stato vicino. Riesco ad andare avanti, anche oggi, perché c’è lui che mi sprona, mi aiuta nelle faccende quotidiane e fa di tutto per tirarmi su».

In contatto con l’Aism

È entrata in contatto con l’Aism, Associazione italiana sclerosi multipla ([email protected]): «Accettare la malattia per me è stato un percorso. All’inizio non riuscivo a parlarne con nessuno. Col tempo invece mi sono accorta che condividere ciò che sentivo con altre persone mi aiutava molto. Sono stati i miei genitori a portarmi un volantino dell’Aism di Bergamo. Non volevo partecipare alle attività proprio perché questo mi avrebbe costretto ad affrontare l’idea di essere malata. Dopo i due aborti spontanei ho iniziato una serie di colloqui psicologici ma la mia intenzione era di occuparmi delle mie ansie e preoccupazioni relative alla gravidanza. Ho incontrato tuttavia una psicologa molto in gamba, che ha saputo ascoltarmi e aiutarmi a tirare fuori tutte le difficoltà di quel periodo. Lei stessa, alla fine, mi ha consigliato di frequentare l’Aism. Ho iniziato con il gruppo Allena-mente, perché ero ossessionata dall’idea di poter perdere la memoria o qualche funzione cognitiva. Nel gruppo facevamo alcuni esercizi, ma ci confidavamo anche le nostre storie, ed era un gran sollievo. Poi ho iniziato anche a frequentare i corsi di attività fisica adattata, e con questo ad accettare i limiti che la sclerosi multipla poneva ai miei movimenti».

La danza nel cuore

Non ha voluto smettere di danzare: «Mi sembrava una punizione troppo grande, quindi mi sono impegnata per poter tornare fisicamente in forma e continuare a dedicarmi alle mie allieve. È stato uno stimolo fondamentale, mi ha dato più forza per reagire». Nei primi anni dopo la diagnosi ha ridotto i suoi impegni: «Dopo la nascita di Lorenzo - spiega - volevo dedicare più tempo a lui. Da un anno lavoro come impiegata amministrativa alla cooperativa Tantemani del Patronato San Vincenzo, dopo alcuni contratti a tempo determinato nei servizi sociali di amministrazioni pubbliche, esperienze che mi hanno insegnato moltissimo ». Quando si è accorta che le sue performance come danzatrice non erano più ottimali, ha scelto di farsi affiancare nelle lezioni da due allieve: «Ho chiesto loro di farmi da assistenti e ne sono state felici, cogliendo l’occasione per mettersi alla prova. Quando ero ancora una giovane allieva anche a me era stata data la stessa possibilità, ed è stato l’inizio di una bellissima avventura». Marta avrebbe potuto ritirarsi, richiudersi in se stessa, invece ha accettato di continuare a essere presente così com’è, con i limiti che la malattia le pone, superando timori e resistenze: «Non volevo essere d’impaccio, in realtà mi hanno manifestato affetto, attenzione e sensibilità. Durante il lockdown ho portato avanti le lezioni online, quando è stato possibile tornare in presenza ho partecipato al saggio. In questo periodo ho seguito anche un corso di danza moderna come allieva. Anche in questo caso ho deciso di partecipare alla coreografia finale, e sono stata accontentata, con qualche piccolo adattamento. Ho interpretato due pezzi e un assolo. Ho trovato un modo diverso di ballare, comunicando di più con il corpo. Quel giorno mi sono emozionata quando ho visto in platea Lorenzo e Cristian, che mi guardavano, e alla fine ho pianto come una bambina ». Ha messo in questa prova una grande dose di determinazione e di coraggio. La danza - come scrive Marta Graham, grande danzatrice e coreografa americana - è una canzone del corpo. Sia essa di gioia o di dolore», e così sul palcoscenico si esprimono entrambi questi aspetti, in uguale misura. «Da sempre - racconta Marta - la danza è stata la mia valvola di sfogo e la mia ancora di salvezza: ora vorrei trasformarla in uno strumento di sensibilizzazione organizzando ogni anno una rassegna a scopo benefico per aiutare le associazioni di volontariato a partire, ovviamente, dall’Aism, perché possa continuare ad accompagnare le persone con sclerosi multipla e a creare legami. Ho provato su me stessa che non si può affrontare la malattia da soli. Anch’io attraverso giorni bui, a volte piango, ma ho sempre accanto persone che mi sostengono, e questo fa la differenza».

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