Algoritmi e social, governare gli eccessi

L’ANALISI. A livello geopolitico viviamo un momento paradossale, nella sua orrenda realtà. Da un lato siamo tornati ai conflitti del Novecento, come in Ucraina, con tanto di trincee e carrarmati. Dall’altra si combattono guerre virtuali con armi finanziarie, elettroniche o digitali, su prime linee presenti solo nel cyberspazio.

Uno di questi «fronti» riguarda la Cina e gli Stati Uniti. La Camera dei Rappresentanti americana ha infatti approvato il disegno di legge che mette al bando TikTok in tutto il Paese (dove può contare su 170 milioni di follower, un americano su due) se il social network non taglia i ponti con la sua società madre ByteDance e, più in generale, con la Cina, cui la reputa legata. Una misura drastica che dal punto di vista dei social equivale a una bomba atomica. Qualora dovesse passare, il presidente Joe Biden ha già fatto sapere che firmerà il provvedimento, approvato a una velocità senza precedenti, senza nemmeno il beneficio di un’udienza pubblica. La legge oltretutto apre la strada a futuri interventi nel caso qualche altra app di successo cadesse in mano a Paesi non graditi al «gendarme del mondo». La partita non è finita perché il candidato repubblicano Donald Trump si è detto contrario a un divieto, in quanto favorirebbe Meta, il gigante proprietario di Facebook e Instagram, da lui definiti «nemico del popolo». Del resto uno dei finanziatori della sua campagna si chiama Jeff Yass, proprietario di un «hedge fund», che guarda caso è un importante investitore di Tik Tok. Le traversie di questo gigante dei social non finiscono mai. Tra l’altro i suoi algoritmi sono sempre più sofisticati e spesso fuori controllo nel procurare interazioni tra utenti, potenzialmente pericolose, se pensiamo che è un’applicazione molto usata dagli adolescenti. Si tratta di una società privata che non risponde a criteri pubblici e dunque sta alle autorità governarla per impedire derive inquietanti.

Ma Tik Tok è solo l’antipasto di quello che potrebbe accadere a livello di Intelligenza artificiale. In questo senso va salutata con grande plauso il cosiddetto AI Act, la legge del Parlamento europeo sull’Intelligenza artificiale, la prima così organica in tutto il mondo. L’Unione diventa così la prima istituzione a regolamentare le norme sul suo uso. Le applicazioni verranno classificate in quattro livelli di rischio: minimo, limitato, elevato e inaccettabile. In questo ultimo caso lo strumento legato a questa definizione, come l’acquisizione di immagini da telecamera da sorveglianza al fine di creare banche dati per il riconoscimento facciale, verrà vietato. Ma ci vorranno almeno due anni prima che entri in vigore. E in due anni il progresso tecnologico digitale cresce a dismisura anche se per le applicazioni classificate come «rischio inaccettabile» sembrerebbe che i divieti potrebbero partire già tra sei mesi.

Per le forze dell’ordine non sarà possibile utilizzare «tool» di identificazione biometrica in tempo reale in mancanza di un’autorizzazione giudiziaria o amministrativa, salvo casi di estrema necessità come la ricerca di un individuo scomparso o la prevenzione di attacchi terroristici. Perché uno dei requisiti maggiore è proprio il riconoscimento facciale. Saremmo tutti schedati. Come forse non tutti sanno, esiste già un sistema di un misterioso consorzio privato basato su miliardi di dati che permette di identificare qualunque faccia ritratta in uno scatto di una fotografia, magari presa dai social o da una telecamera durante una manifestazione pubblica. Il sistema, venduto a tutte le polizie del mondo è stato adoperato per i riconoscimenti dei manifestanti dell’attacco al Campidoglio, il 6 gennaio 2021, cosa di per sé positiva ma inquietante per i rischi legati alla privacy. In pratica siamo tutti delle «celebrities» quando andiamo in giro. Con la differenza che le «celebrities» hanno i guardaspalle e le persone normali no.

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