In North Carolina per studiare le nuove terapie contro i tumori

LA STORIA. Silvia Zaninelli si trova negli Stati Uniti, nel campus in cui è cresciuto anche Michael Jordan, per fare ricerca sul sistema immunitario e le modifiche genetiche per battere il cancro.

Certe vite non esplodono mai. Scorrono con la grazia dei fiumi nascosti, scavando sotto terra, cercando varchi, aspettando il momento. E poi, all’improvviso, si aprono. Un salto, un volo, un continente nuovo. Silvia Zaninelli, classe 1994, di Romano di Lombardia, non ha mai cercato il clamore. Ma ha sempre seguito la direzione giusta: quella che porta a diventare ciò che si è. «Mi è sempre piaciuta la biologia. Già a scuola mi affascinava. Quando ho iniziato a studiare biotecnologie all’università, poi, ho capito che mi interessava capire come funzioniamo, cosa si rompe quando ci ammaliamo. Non volevo fare la dottoressa, ma volevo restare lì, al confine tra la scienza e la cura». Ed è così che ha preso il via la sua strada verso l’America – con un biglietto di andata datato fine febbraio 2024 –, in North Carolina dove è impegnata come ricercatrice nel suo progetto di post dottorato legato alle terapie antitumorali.

Dalla triennale alla magistrale, fino al dottorato con Milano-Bicocca, tutto passa da Milano, ma ha sempre una tappa obbligata a Bergamo: il laboratorio dell’ospedale dove ha mosso i primi passi da ricercatrice. «La parte che amo della ricerca è quella che chiamiamo “traslazionale”: capire cosa succede nel tumore, trovare un bersaglio, sviluppare una terapia che nel giro di pochi anni può arrivare a un paziente. È una scienza che serve, che tocca la vita». Ed è proprio questa passione, metodica e ostinata, che l’ha portata oggi a lavorare come post-doc all’Università del North Carolina a Chapel Hill – la stessa della leggenda cestistica Michael Jordan –, uno dei centri di ricerca più stimolanti degli Stati Uniti.

Il post doc a Chapel Hill

«Mi sono unita come post-doc al gruppo guidato da due ricercatori italiani, che da molti anni sono negli Stati Uniti e si sono distinti per la ricerca in questo ambito (delle terapie antitumorali), Gianpietro Dotti e Barbara Savoldo. Qui facciamo parte di una struttura enorme, ci sono tantissimi seminari, corsi, idee che si incrociano. È tutto molto dinamico. E poi siamo un team davvero internazionale: lavoro con colleghi da ogni parte del mondo. Questo scambio di culture è un valore aggiunto, ti costringe a guardare le cose da più angolazioni, ti arricchisce». Il suo lavoro consiste nel modificare geneticamente cellule del sistema immunitario per insegnare loro a riconoscere e combattere il tumore.

«I dati non bastano: bisogna saperli leggere, interpretarli, trovare le domande giuste. È lì che succede la parte più bella». Chapel Hill è una cittadina universitaria, tutto ruota intorno al campus. «Vado a lavoro a piedi, vivo in una casa, la classica americana (abbiamo persino una veranda chiusa come quelle dei film), con due ragazze americane che fanno il dottorato nella mia stessa università ma in ambiti completamente diversi. È stato un bel modo per integrarmi. All’inizio era tutto nuovo, anche solo fare la spesa o muoversi senza auto era complicato. Ma ho preso la patente quasi subito e ho anche comprato l’auto, perché qui senza non fai nulla». E poi c’è la vita fuori dal laboratorio, che Silvia non ha mai trascurato. «All’inizio è stato difficile fare amicizia fuori dal gruppo di lavoro. Non sei più studentessa, sei in un altro mondo. Ma l’associazione dei post-doc organizza eventi, serate, attività anche sociali. Così ho conosciuto un sacco di persone nuove. E poi grazie alla mia passione per il trekking ho incontrato altri ragazzi con la stessa voglia di camminare, esplorare. Ho trovato la mia dimensione».

La montagna, per Silvia, è un modo di respirare. Anche oltre oceano. «Lo scorso anno, con mio marito Alessandro e alcuni amici, abbiamo fatto un viaggio incredibile nei parchi nazionali dell’Arizona e dello Utah. Grand Canyon, Bryce Canyon, Zion. Questi luoghi ti spiazzano. Sono enormi, anzi vastissimi direi, curati benissimo, pieni di ranger che ti aiutano, cartelli dettagliati. E poi il silenzio. Ti senti minuscolo davanti a tanta bellezza». La sorpresa è ovunque, anche nei dettagli più insoliti. «Qui ci sono i serpenti, anche velenosi, capita spesso di vederli anche se non ci ho ancora fatto l’abitudine e non mi piacciono per niente. Gli orsi ci sarebbero, ma non li ho ancora visti, con mio grande disappunto», scherza, ma non troppo.

Il matrimonio a Las Vegas

Silvia parla spesso con i suoi genitori, che sente ogni giorno nel tardo pomeriggio italiano, quando in North Carolina è mattina. E con Alessandro, suo marito, che vive e lavora in Italia. La distanza pesa, ma è addolcita dalla forza del legame e dai viaggi che lui riesce a realizzare per raggiungerla. «Ad agosto 2024 ci siamo sposati a Las Vegas. Era tutto molto kitsch, ma anche poetico. Un giorno surreale, nel deserto, con un vestito leggero e le mani che tremavano. Eravamo noi, semplicemente. Poi è tornato anche durante le ultime vacanze pasquali quest’anno e siamo andati a Chicago. Mi è piaciuta tantissimo (molto più di Las Vegas, che è molto turistica e dove se non giochi ai casinò ti ritrovi solo a dover spendere davvero un sacco di soldi), anche a livello architettonico e perché ha delle vibes europee, con i localini sui fiumi. Vorremmo vedere New York. Ma prima sicuramente visiteremo altri parchi, visto che ci hanno lasciato senza fiato».

Oltre agli affetti le manca l’Italia, certo. Non tanto per nostalgia quanto per la trama sottile della quotidianità. «Mi manca la convivialità. Qui si cena presto, si torna a casa alle nove. In Italia invece ci si siede e ci si ferma a tavola, si parla, si sta. È un tempo diverso, un’energia che qui fatico a ritrovare. E che davvero mi manca».

Il sogno della ricerca

Silvia per ora ha un contratto fino a marzo 2026. È ormai a metà del suo sogno americano. Potrebbe poi restare fino a cinque anni, ma il cuore guarda già oltre. «L’obiettivo ora è continuare le mie ricerche e pubblicare i miei risultati. Poi però, mi piacerebbe tornare. In Italia ci sono centri di ricerca di altissimo livello. Bergamo sarebbe un sogno. Non so ancora se voglio intraprendere la carriera accademica, magari come professoressa. Ma so che voglio continuare a fare ricerca, quella vera. E so che in Italia lo posso fare. Non sono partita con l’idea di restare qui. Ho sempre avuto ben chiaro che i un futuro sarei voluta tornare a casa, nella bergamasca. E lo penso ancora anche ora». «La ricerca mi ha insegnato che non tutto ha una risposta, ma ogni giorno hai l’occasione di farti la domanda giusta. Ed è un privilegio» spiega. Ha imparato a farlo a Romano, tra le aule del Don Milani. A Milano, tra provette e microscopi. A Bergamo, nei corridoi degli ospedali. E ora, anche qui, a Chapel Hill, dove il mondo sembra vasto come i canyon che ha attraversato. Cammina tra due mondi, Silvia. Con la mente nel futuro e i piedi ben piantati nella sua storia. E ogni giorno, mentre attraversa il campus a piedi, pensa a quella ragazzina che si era innamorata della biologia.

Bergamo senza confini

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