La cura degli anziani passa per la natalità

ITALIA. Un assegno di accompagnamento rafforzato che passerà dagli attuali 531,76 a 1.380 euro mensili, da poter spendere per servizi o assistenti/badanti, destinato a tutti i non autosufficienti con più di 80 anni di età e un Isee inferiore a 6mila euro.

Un assegno di accompagnamento rafforzato che passerà dagli attuali 531,76 a 1.380 euro mensili, da poter spendere per servizi o assistenti/badanti, destinato a tutti i non autosufficienti con più di 80 anni di età e un Isee inferiore a 6mila euro. È questa «prestazione universale» la misura maggiormente innovativa del Patto per la Terza Età di cui il governo ha approvato un primo decreto legislativo attuativo. Una sperimentazione finanziata con un miliardo di euro in due anni, a partire dal 1° gennaio 2025, «solo una tappa di un percorso che andrà avanti per tutta la legislatura», ha assicurato la premier Meloni.

La valutazione del Patto per la Terza Età cambia in base alla prospettiva temporale che assumiamo. Nel breve termine, è lodevole che si metta finalmente mano a un welfare a misura di «grandi anziani», andando al di là del classico sistema previdenziale. Soprattutto, è positivo che altri articoli del decreto siano dedicati all’invecchiamento attivo sia nei luoghi di lavoro sia nella società in generale. Già oggi nel nostro Paese gli over 65 sono 14,2 milioni, il 24,1% della popolazione, e gli over 80 sono 4,5 milioni, cioè il 7,7% del totale. L’Italia, per fortuna, ogni giorno che passa conquista una maggiore aspettativa di vita, ma allo stesso tempo diventa più anziana in ragione della bassa natalità. Un sistema demografico squilibrato graverà in misura crescente sul sistema pensionistico, su quello sanitario, così come sulle condizioni di salute degli stessi anziani che potrebbero peggiorare in assenza di un’assistenza all’altezza. Ripensare il welfare pubblico, innanzitutto per i non autosufficienti, è dunque doveroso.

Nel medio termine, il giudizio del Patto per la Terza Età diventa in chiaroscuro. Le risorse stanziate per la «prestazione universale» sono state già ridotte rispetto al progetto iniziale, visto che si è passati da una indennità aggiuntiva di 1.000 a una di 850 euro. Con il progetto originario si stimava di raggiungere 25.000 persone; secondo il quotidiano Avvenire, parliamo del 2,5% degli ultra 80enni che ricevono l’indennità di accompagnamento. Ora la platea dei destinatari potrà crescere di qualche migliaio di persone, ma - sempre per il quotidiano della Cei - «bisogna tenere conto che nel decreto si prevede, nel caso le domande fossero superiori, che lo stanziamento non potrà aumentare e dunque saranno i singoli importi mensili a diminuire». Intendiamoci, far quadrare i conti pubblici è nell’interesse di tutta la comunità, ma se l’indennità rimarrà così limitata - soprattutto nella platea - rischierà di diventare una «misura bandiera» dalla dubbia efficacia.

Il nodo delle risorse a disposizione, per loro natura scarse, ci porta infine alla prospettiva di lungo termine. Da un simile punto di vista, il Patto per la Terza Età è necessario ma non sufficiente. La previdenza, così come il welfare per i grandi anziani, è al fondo un sistema di trasferimento di risorse, a partire da tasse e contributi su chi produce reddito. E chi produce reddito oggi, in Italia, sta diminuendo rapidamente di numero. Nel nostro Paese l’età mediana, quella che divide una popolazione in due gruppi numericamente uguali (la metà più giovane e la metà più anziana), era pari a 27 anni alla metà del secolo scorso, oggi è salita a 48 anni e arriverà a 54 alla metà di questo secolo. Ecco perché, invece di disperdere le già esigue risorse in troppi rivoli difficilmente valutabili (come la pet therapy di Stato!), sarebbe meglio tener conto che il benessere dei nostri anziani passa per un necessario riequilibrio demografico, dipende in definitiva da un aumento della forza lavoro, della sua produttività e da un incremento della natalità.

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