L'Editoriale
Lunedì 04 Dicembre 2023
La guerra economica con l’Europa nel mirino
ECONOMIA. Paese che vai, controlli sugli investimenti esteri che trovi. Il mese scorso Singapore, ci informa l’Economist, è diventato l’ultimo Stato in ordine di tempo - fra i tantissimi – a scegliere di dotarsi di un sistema istituzionale di screening dei soldi in arrivo dall’estero.
Le aziende di questa rampante città-Stato asiatica nel 2022 sono state, a loro volta, quelle finite più spesso sotto osservazione da parte della Cfius, cioè la potente Commissione sugli investimenti esteri negli Stati Uniti. Perché simili novità in arrivo da un’isola asiatica di quasi sei milioni di abitanti dovrebbero interessare noi italiani ed europei? È presto detto, visto che – sempre secondo il settimanale finanziario britannico - la tendenza descritta è globale, con la Cina e le sue aziende che sono diventate «l’obiettivo principale degli sforzi tesi a rafforzare le regole di screening sugli investimenti e ad adottarne di nuove». La preoccupazione diffusa è che agli investimenti di alcuni Paesi - in particolare quelli delle cosiddette «potenze revisioniste» dell’ordine globale, come Cina e Russia - siano legate forme di interventismo che poco hanno a che fare con il mercato, tentativi di influenzare economicamente e politicamente i Paesi destinatari dei fondi. Invece del «dolce commercio» di Montesquieu, insomma, oggi ci troveremmo in alcuni casi di fronte a un commercio quanto meno ambiguo: economicamente attraente ma geopoliticamente rischioso, a maggior ragione in una fase come l’attuale.
Un rapporto appena pubblicato dalla Hanns Seidel Stiftung ci aiuta a capire perché la sfida riguarda da vicino anche il nostro Paese. «Fino a tempi recenti – si legge nello studio curato dagli analisti italiani Francesco Galietti e Letizia Zingoni – gli investitori cinesi e russi in Italia hanno potuto contare su un ambiente politico non ostile, così come su potenti banche del Paese con alle spalle una lunga tradizione di Ostpolitik. Di recente, però, i governi Draghi e Meloni hanno optato per un’agenda marcatamente atlantista». Il rapporto passa in rassegna circa 250 accordi annunciati o siglati a partire dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, approfondendo alcuni degli episodi più noti di investimenti da parte del Dragone o dell’Orso, per esempio in Wind (telecomunicazioni) o in Pirelli (pneumatici-mobilità).
Tra le scoperte c’è quella di uno «schema triangolare ricorrente» che sarebbe spesso figlio di simili investimenti, con la partecipazione azionaria di aziende riconducibili a Mosca o a Pechino che diventa motivo per rafforzare legami di fornitura e di scambio commerciale della «preda italiana» con l’uno o l’altro colosso autoritario. Come a dimostrare che dietro scelte commerciali si possono celare tentativi di influenzare la postura economica e quindi geopolitica di un Paese come il nostro, magari per alimentare divisioni in seno all’Europa e all’Occidente tutto.
Ennesima conferma di quanto sottolineato da Franco Cattaneo su queste colonne, e cioè che per l’Europa «gli assunti che hanno garantito stabilità e benessere non sono più validi: sicurezza dagli Usa, energia dalla Russia, export dalla Cina. Sfide comuni gigantesche per un modello europeo da ripensare che impongono creatività strategica, confidando che sono le idee e gli uomini a muovere la storia».
Il Vecchio continente dovrà dedicare almeno un po’ di questa creatività strategica per affrontare la guerra economica in corso a livello planetario, una guerra che – scrive Luca Picotti nel libro «La legge del più forte» (Lup) – «si sviluppa per mezzo di leggi, regolamenti, provvedimenti statali. Si tratta di un intero armamentario giuridico finalizzato al raggiungimento di scopi geoeconomici e, quindi, geopolitici». Torniamo appunto alle norme protettive sugli investimenti esteri di cui sopra, alle sanzioni, ai controlli all’export, ai limiti alla circolazione dei capitali. Mentre gli Stati membri sul tema avanzano in ordine sparso, ma perlomeno avanzano, l’Ue dovrà addirittura – sempre secondo Picotti - rimettere in discussione il suo essere «una costruzione fondata sulla (illusoria, seppure non trascurabile) supremazia del diritto sulla politica». Il tempo per farlo è sempre meno.
Occhiello
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