Piccole attenzioni per bimbi speciali: «Così non lasciamo sole le famiglie»

LA STORIA. Elena Graziani ha maturato il suo impegno sociale dopo la nascita di Alessandro e la scoperta dell’autismo.

«La comunicazione – scrive il filosofo francese Henri Bergson – avviene quando, oltre al messaggio, passa anche un supplemento di anima». Dagli occhi al cuore, quando le parole non sono sufficienti, occorre piuttosto uno spazio fatto di silenzio e di pazienza, come avviene per Alessandro, bambino autistico di sette anni, che vive a Nembro con la sua famiglia.

Non è facile ottenere questo tipo di attenzione in una società che procede sempre «di corsa», in cui i giudizi scattano prima, le riflessioni poi: «Le famiglie che hanno bambini con disabilità – spiega Elena Graziani – spesso si trovano isolate, si rinchiudono in casa piuttosto di dover affrontare situazioni faticose e avvilenti, evitano di frequentare negozi e ristoranti».

«Autism friendly»

Così Elena ha dato il via al progetto «Autism friendly», che viene presentato in un incontro a tema «Autismo e disabilità» lunedì 26 maggio alle 20,30 nella sala consiliare del Comune di Curno, promosso dalle associazioni Live Charity, Famiglie Lgs (Sindrome Lennox-Gastaut), Nessuno è escluso e centro StrabiliAba con l’amministrazione comunale e il Distretto del commercio, turismo e servizi dei Colli e del Brembo.

Gli anni della diagnosi

«Quando sono nati i miei gemelli, Tommaso e Alessandro – continua Elena – mi sono accorta subito che c’era qualcosa di diverso fra loro, fin dalla prima volta in cui li ho presi in braccio. Alessandro non agganciava mai lo sguardo, lo chiamavo ma non rispondeva, aveva sempre gli occhi persi nel vuoto».

Fin dai primi mesi si sono manifestate difficoltà che hanno spiazzato mamma e papà: «Se il latte non era alla temperatura perfetta per lui Alessandro lo rifiutava, gli dava fastidio il contatto con l’acqua, era quasi impossibile fargli il bagnetto. Ci siamo inventati mille soluzioni alternative, le spugnature, i cartoni animati per intrattenerlo».

I bambini di solito adorano essere portati a passeggio, per Alessandro era proprio il contrario: «Appena uscivamo di casa iniziava a disperarsi. Gli davano fastidio i rumori, non sopportava la confusione. Amava solo i posti silenziosi come i boschi e la montagna. Non era possibile andare tutti insieme a mangiare un gelato, oppure sistemarlo nel seggiolino dell’auto».

L’«Applied Behaviour Analisis»

Col passare degli anni alle difficoltà familiari si sono aggiunti anche gli sguardi di disapprovazione dei passanti: «Un bambino autistico a un primo sguardo sembra solo maleducato. Alessandro rifiutava di salire o scendere le scale, a volte si buttava a terra e urlava. Qualsiasi cambiamento o spostamento per lui diventava un dramma. Quando uscivamo bisognava fargli fare sempre lo stesso percorso». La diagnosi è arrivata intorno ai tre anni, all’Istituto Angelo Custode di Predore: «Ci hanno detto che Alessandro era autistico, e abbiamo iniziato le terapie. Ci hanno consigliato di seguire un percorso di logopedia, psicomotricità e terapia Aba». L’«Applied Behaviour Analisis» è un approccio che intende aiutare bambini e genitori nella vita quotidiana e si fonda sul rafforzamento dei comportamenti desiderati e la riduzione di quelli indesiderati, per conquistare nuove abilità e autonomie.

«Abbiamo iniziato a frequentare il centro “Strabiliaba” di Albino e già dopo sei mesi nostro figlio aveva dimostrato miglioramenti straordinari. Una delle terapiste veniva a casa nostra e mi dava indicazioni su come comportarmi quando Alessandro aveva delle crisi comportamentali. Capitava spesso nei primi anni, e a volte duravano per ore. Lanciava oggetti, li buttava per terra, urlava».

La rete di negozi

Erano tutte manifestazioni di disagio, che con le terapie pian piano si sono risolte: «Un giorno ci trovavamo in una gelateria con la nostra terapista, Alessandro aveva circa quattro anni. Abbiamo preso un gelato, ma lui si è molto agitato perché eravamo seduti ai tavolini esterni, faceva caldo e si è subito sciolto, così ha iniziato a gridare. Per le persone che avevamo intorno era un comportamento inspiegabile, così la terapista è entrata per parlare con il titolare: lui ci aveva detto che avremmo dovuto dirglielo subito, perché ci avrebbe ospitato in una saletta a parte. L’autismo non è un disturbo che si coglie al primo sguardo e la gente spesso lo confonde con la maleducazione. Da quell’episodio è nato il sogno di impegnarsi per avere ambienti davvero accoglienti e inclusivi anche per i bambini autistici. A volte bastano piccole attenzioni perché possano stare bene in mezzo agli altri».

«Ho pensato di creare una rete di negozi “Autism friendly”»

Un sogno condiviso con tantissime famiglie: «I primi anni sono per tutti davvero difficili, noi non siamo quasi mai usciti di casa e so che è un’esperienza comune in condizioni simili alle nostre. Era terribile trovarsi in situazioni ostili, sopportare gli sguardi della gente che a volte interveniva a sproposito e giudicava in modo lapidario. Allora ho pensato di creare una rete di negozi “Autism friendly”, in cui i titolari potessero essere informati delle caratteristiche dell’autismo e della difficoltà che può comportare per le famiglie».

L’associazione Live Charity

Elena si è unita all’associazione Live Charity, un ente no profit nato a Monza da un gruppo di amici con una grande passione per il calcio e il desiderio di sposare cause di beneficenza. Col tempo ne è diventata consigliera. «Mi hanno aiutato a produrre materiale informativo, braccialetti e adesivi da distribuire nei locali che aderivano all’iniziativa, che aveva come primo obiettivo diffondere informazioni e una diversa cultura, per cambiare lo sguardo delle persone sulla condizione di bambini e ragazzi autistici o con altri disturbi e disabilità intellettive e comportamentali, causate per esempio da malattie rare. Abbiamo avviato anche diverse raccolte fondi per aiutare le famiglie a sostenere i costi di terapie e attività integrative necessarie a bambini e ragazzi con disabilità».

Incontri aperti a tutti

Punto fondamentale di questo programma di sensibilizzazione sono incontri formativi aperti a tutti: «Durante queste serate intervengono le terapiste del nostro centro Strabiliaba per parlare dell’autismo e di tutte le disabilità intellettive e relazionali, perché le difficoltà che incontrano le famiglie sono molto affini, anche per esempio per chi soffre di Adhd (deficit dell’attenzione e dell’iperattività) oppure con sindrome di Down e tanti altri disturbi. Una parte importante è dedicata alle testimonianze delle famiglie: io racconto la mia storia e l’origine di questo progetto, e così altri genitori che condividono difficoltà e desideri. Ovviamente i commercianti non sono né terapisti né psicologi, ma possono essere d’aiuto nel diffondere la conoscenza e un atteggiamento accogliente nei confronti delle disabilità che non si possono vedere».

«A volte basta non spaventarsi, non giudicare ma comprendere, avere un po’ di pazienza»

L’obiettivo è alleggerire un po’ il carico di chi vive queste situazioni: «È importante per noi avere un punto di riferimento in caso di una crisi, non essere giudicati se nostro figlio manifesta comportamenti incomprensibili per altri, e in caso di necessità avere piccoli aiuti, come saltare la coda, per esempio, se ci sono segnali importanti di agitazione».

Ai negozianti «Autism friendly» viene offerto un adesivo da esporre in vetrina per farsi riconoscere e un manifesto con alcuni suggerimenti, che ha un titolo provocatorio: «Non sono maleducato, sono autistico!».

«Ogni bambino ha le sue peculiarità, non pretendiamo di esaurirle tutte, solo di allenare un po’ lo sguardo perché sia più comprensivo e benevolo»

«La “dote” che offriamo al negoziante – chiarisce Elena – comprende anche un braccialetto da far indossare alla persona che viene scelta come referente per questo progetto. Per noi diventa un punto di riferimento riconoscibile a cui rivolgersi: può indicarmi una soluzione in caso di difficoltà, dare un aiuto in caso di necessità. A volte basta non spaventarsi, non giudicare ma comprendere, avere un po’ di pazienza».

Famiglie al centro

Nel «decalogo» offerto ai commercianti che aderiscono ad «Autism friendly» sono illustrati alcuni comportamenti comuni fra bambini e ragazzi autistici: «Non salutano, non parlano, se lo fanno non vi guardano negli occhi o rispondono cose incoerenti. Scappano ovunque e non rispondono al loro nome. Si buttano a terra, urlano, piangono apparentemente senza motivo e con un’intensità mai vista prima. Non mangiano nulla o solo cibi cucinati o presentati in un determinato modo. Non riescono ad aspettare o stare seduti, si tappano le orecchie, emettono versi strani, toccano tutto e non smettono se vengono richiamati».

Per un’atmosfera inclusiva

È un tentativo semplice e non esauriente di creare un’atmosfera inclusiva: «Ogni bambino ha le sue peculiarità, non pretendiamo di esaurirle tutte, solo di allenare un po’ lo sguardo perché sia più comprensivo e benevolo. Le crisi comportamentali per questi bambini non sono “capricci”, non si risolvono con una sgridata. Ovviamente l’impegno per una buona convivenza e inclusione dev’essere reciproco, ma spesso le famiglie spendono tantissimo tempo, risorse ed energie nelle terapie e in tutto questo cammino si sentono molto sole. Noi nei primi anni abbiamo dovuto rinunciare a tutto, abbiamo perso amicizie e legami».

«La diffusione del progetto, soprattutto a Nembro, dove abitiamo, ci ha reso la vita più semplice, ci ha aiutato a creare nuove amicizie, ci ha dato tanta speranza per il futuro. Adesso speriamo di poter fare lo stesso anche per altre famiglie»

Una rete di famiglie

Anche per questo l’iniziativa di Elena ha dato vita a una rete di passaparola e adesioni fra altre famiglie e le associazioni che si occupano di disabilità: «Anche da questo – sottolinea – ha avuto origine l’incontro a Curno, con il sostegno dell’amministrazione comunale. Ci preme evitare l’isolamento sociale delle famiglie».

Alessandro grazie alle terapie ha fatto passi da gigante: «Non abbiamo più gli stessi problemi di quando era piccolo. Ora frequenta la seconda classe della scuola primaria, ha una grande passione per gli animali, soprattutto per i dinosauri. Si è inserito in modo positivo, dopo un po’ di terremoto l’anno scorso, all’inizio della scuola primaria, perché i cambiamenti continuano a essere complicati. La diffusione del progetto, soprattutto a Nembro, dove abitiamo, ci ha reso la vita più semplice, ci ha aiutato a creare nuove amicizie, ci ha dato tanta speranza per il futuro. Adesso speriamo di poter fare lo stesso anche per altre famiglie».

© RIPRODUZIONE RISERVATA