
Cronaca / Bergamo Città
Mercoledì 17 Settembre 2025
Un bergamasco in mare con la Flotilla: «Ma non siamo eroi»
LA MISSIONE. Dario Crippa, 25enne universitario, è in navigazione verso Gaza.
«I nostri nomi non contano. Non siamo eroi. Vogliamo solo portare attenzione su ciò che accade a Gaza». Dario Crippa lo ripete più volte. Forse eroi non lo sono, ma è difficile non riconoscere l’enorme portata di quello che insieme ai suoi compagni di viaggio sta provando a fare: portare cibo e medicinali alla popolazione palestinese stremata dalla guerra. A bordo dell’imbarcazione olandese «Ghea», Dario, 25 anni di Bergamo, si è unito alla missione della Global Sumud Flotilla per «rompere l’assedio» di Israele su Gaza.
Studente di Neuroscienze e Filosofia ad Amsterdam, da giorni ha iniziato la navigazione dalla Sicilia insieme ad altri attivisti in arrivo da ogni parte del mondo: «Ora ci troviamo nel punto più meridionale al largo della Sicilia. Stiamo aspettando le altre barche da Barcellona e da Tunisi, ci incontreremo domani (17 settembre per chi legge, ndr). La navigazione è tranquilla e il morale alto. Stiamo lavorando a questa missione dal 31 agosto», afferma Dario.
Non violenza e rispetto della legalità
Una preparazione basata su due principi, non violenza e rispetto della legalità, per farsi trovare pronti ad eventuali attacchi israeliani. Rotta in mare e strategia devono rimanere segrete per ragioni di sicurezza, ma per il resto il racconto del viaggio verso Gaza è un diario aperto, costantemente aggiornato dal ragazzo su «Monterojo Hoodboy», il suo canale YouTube. Per Dario, con gli occhi che brillano di emozione accesi dal sogno della pace - un desiderio coltivato in famiglia, in particolare tramite il lavoro di sua madre Marzia Marchesi, assessora alla Pace del Comune di Bergamo - quello verso i territori palestinesi è in realtà un ritorno.
Una volta risaliti sull’autobus un anziano mi ha detto “Per favore, raccontate in Europa i soprusi che ci stanno facendo”»
«Nel 2016 andammo in Giordania con la mia famiglia. Volevamo solo fare turismo con lo zaino in spalla, ma quando siamo arrivati abbiamo incontrato una suora bergamasca che stava andando in Palestina in auto. Ci invitò ad unirci e inaspettatamente siamo entrati in Cisgiordania», racconta. Ed è qui che ha visto con i propri occhi la differenza di trattamento riservata ai «nemici» dello Stato ebraico: «Ci muovevamo con i mezzi pubblici - prosegue -. Una volta arrivati al muro che separa la Cisgiordania dai territori controllati da Israele, un checkpoint, siamo stati fatti scendere per controllare i passaporti. I palestinesi venivano tenuti in fila con i Kalashnikov puntati addosso. Una volta risaliti sull’autobus un anziano mi ha detto “Per favore, raccontate in Europa i soprusi che ci stanno facendo”».
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