Quei genitori-tifosi aggressivi e violenti, piaga mai guarita

Il commento. C’è la bella vittoria dell’Atalanta da celebrare e lo facciamo ampiamente nelle pagine interne (ragionando pure sulla brutta tegola dell’infortunio di Hateboer). Ma c’è anche un altro tema che ci sta a cuore e che è tornato alla ribalta nei giorni scorsi a causa dei fatti di Palosco.

Domenica 5 febbraio – come è ormai noto – il padre di un giocatore ha sferrato un pugno all’arbitro durante Oratorio Palosco-Aurora Seriate (categoria Allievi). L’aggressore ha poi ricevuto il Daspo di un anno dal questore di Bergamo, vale a dire che per tutto quel tempo «non potrà assistere o avvicinarsi a luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive». E in caso di violazione del provvedimento potrà «essere immediatamente arrestato». Questa dei genitori-tifosi aggressivi e violenti è una piaga antica, che oggi fa più rumore grazie alla vastità (e alla multimedialità) dei mezzi di informazione. Una piaga antica purtroppo mai estirpata, soprattutto sui campi di calcio e nonostante gli sforzi della federazione e delle società sviluppati negli anni per promuovere il fair play e un sano approccio allo sport.

Chi scrive ne sa qualcosa, avendo arbitrato da giovane per cinque anni sui campi di provincia proprio le categorie giovanili. Ricordo il battesimo shock del fischietto: una partita dei Pulcini (i più piccoli, per intenderci) in un paese dell’hinterland. Intervenni pochissimo (succede così all’inizio e dalla sezione dell’Aia di Bergamo ci avevano avvisati di non farci prendere dal panico per questo) e sugli spalti si scatenò l’ira di alcuni genitori, persino con lancio di sassolini. Una mamma in particolare, una signora robusta che inveiva aggrappata alla recinzione, mi promise che mi avrebbe fatto «la permanente». Poi per fortuna mi risparmiò altrimenti, magrolino com’ero, sarei finito nelle sue polpette. In Valle Seriana mi spaccarono lo specchietto retrovisore della Simca 1000 (di papà, tra l’altro). Nella Bassa fui accerchiato e minacciato. Per farla breve, queste cose accadono da sempre ed è grave che continuino a succedere. Urge un cambio di mentalità a livello culturale. Lo sport dei figli (ma anche quello della squadra del cuore) non può essere lo sfogatoio dei nostri istinti peggiori. Dev’essere un momento di socialità e di serenità, oltre che educativo. Deve emozionarci, non farci imbestialire. È persino banale ma non la capiscono.

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