«Parkinson», non solo cure: serve anche una rete integrata

MALATTIA NEUROLOGICA. Causa la morte progressiva dei neuroni di alcune aree del cervello responsabili della produzione di dopamina.

Il Parkinson è la seconda malattia neurodegenerativa più comune. Nel nostro Paese si stimano oltre 300.000 casi, destinati a raddoppiarsi intorno al 2040. I dati della Provincia di Bergamo mostrano un incremento significativo di pazienti osservati, da circa 3.106 nel 2012 a oltre 4.200 nel 2024. In occasione della Giornata Nazionale Parkinson, che ricorre l’ultimo sabato di ogni novembre ed è promossa da Fondazione LIMPE, il dottor Jean Marc Melgari, specialista dell’Unità di Neurologia (diretta dalla dottoressa Paola Merlo) e referente del Centro Parkinson in Humanitas Gavazzeni, richiama l’attenzione sul tema: «Questi numeri impongono una seria riflessione, considerando la reale dimensione di un problema che impatta sulla qualità della vita di migliaia di pazienti. Ognuno diverso dal punto di vista clinico e psicologico».

Il Parkinson

Il Parkinson causa la morte progressiva dei neuroni di alcune aree del cervello responsabili della produzione di dopamina, neurotrasmettitore che permette il controllo del movimento. La sua carenza porta a sintomi cardine: lentezza nei movimenti, rigidità muscolare, tremore a riposo, instabilità. La malattia determina sintomi non motori: riduzione dell’olfatto, della deglutizione, stitichezza, alterazioni urinarie, pressione arteriosa. Una particolare attenzione meritano poi i disturbi del sonno e la depressione. Il Parkinson ha un andamento progressivo e ingravescente che, generalmente, coinvolge un lato del corpo per poi estendersi bilateralmente.

I trattamenti

Dal punto di vista terapeutico, determinante è il trattamento farmacologico, che ha la funzione di aumentare i livelli di dopamina utile (L-Dopa, inibitori COMT, I-MAOB) di sostituirsi ad essa (dopaminoagonisti) o di riequilibrare le alterazioni dei circuiti conseguenti alla degenerazione. Con il tempo possono comparire fluttuazioni, dovute anche a una risposta instabile ai farmaci. Nei casi in cui non si ottenga un’ottimizzazione clinica si può ricorrere a terapie avanzate: infusione sottocute o nell’intestino di farmaci (apomorfina, levodopa/carbidopa gel) mediante piccole pompe portatili. In alternativa, interventi per modulare i circuiti cerebrali alterati con piccoli elettrodi inseriti neurochirurgicamente (DBS- Stimolazione Cerebrale Profonda) o con ultrasuoni focalizzati.

«Fondamentale resta comunque la gestione integrata e multidisciplinare della patologia – conclude Melgari – che si completa con riabilitazione e logopedia, ma anche con il coinvolgimento dell’associazionismo e delle istituzioni locali. A Bergamo il progetto con Ats “Circe”, attualmente in corso, è rappresentazione esemplare del percorso corretto». Per un approccio clinico efficace è essenziale quindi valorizzare due principi: la multidisciplinarietà e la trasformazione del concetto di cura, dalla sola terapia a un modello innovativo fondato su una rete integrata di eccellenza.

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