Solforati e Paggi: «Il nostro nuovo Volley Bergamo 91»

PALLAVOLO DONNE. Il tecnico alla vigilia della prima stagione in rossoblù: «Fame ed entusiasmo». L’ex capitana torna come mental coach.

Lei, la storia, lui, il nuovo corso del Volley Bergamo 1991. Arrivano al Lazzaretto una accanto all’altro, come capi di uno stesso filo. Paola Paggi sorride con l’aria di chi ha ritrovato le chiavi di casa. Matteo Solforati ha le idee chiare su quali saranno le sue. «La squadra dovrà essere entusiasta perché il gruppo e lo staff sono giovani; affamata come richiede il dna di Bergamo; feroce agonisticamente. Questo dovrà essere il nostro modo di stare in campo, il nostro marchio di fabbrica».

Entusiasta, affamato, feroce (sul campo), sì, ma con la leggerezza negli occhi. Solforati s’illumina alla parola «Bergamo» perché la nuova avventura sulla panchina rossoblù, dice il 41enne tecnico pesarese, è «un sogno che si realizza dopo 11 anni da allenatore». Ultima stazione Mondovì, in A2, ma c’è un imprinting originario che lo ha segnato come una folgorazione. «Zé Roberto, il primo maestro. A Pesaro (Scavolini 2006-2009, ndr) facevo lo scoutman, lui era capo allenatore. Una leggenda già allora ma mi conquistò la sua umanità, l’umiltà, l’attenzione nei rapporti personali, la capacità di far sentire tutti protagonisti. Una lezione : da allenatore sono per il dialogo aperto con lo staff e la squadra. Cercherò di adattarmi alle qualità delle giocatrici senza imporre idee dall’alto».

Solforati, oneri e onori

Onore e onere della prima stagione in A1 sono due facce della stessa medaglia rossoblù, ma Solforati non ha dubbi su quale parte della bilancia salire. «L’onere è insito nel mestiere di allenatore, la pressione c’è in qualsiasi categoria. Qui prevale l’onore di poter far parte della storia di Bergamo, l’entusiasmo di un nuovo inizio, con un gruppo rinnovato. Dal punto di vista tecnico la squadra è equilibrata, con ottime individualità e giocatrici cariche, motivate, in cerca di conferme. Siamo un gruppo in rampa di lancio: vogliamo salire ancora». Ripartendo dall’ultimo campo base, i playoff. «Confermarsi è il primo passo. Conegliano, Milano, Novara, Scandicci, Chieri sulla carta sono davanti. Alle loro spalle c’è un gruppo di squadre che lotterà per i playoff e qui possiamo inserirci noi. Da avversario Bergamo evoca brutti ricordi, ho sempre perso, ma ora non vedo l’ora d’iniziare una nuova storia».

A Treviglio, non al palasport cittadino e il sorriso di Solforati se lo porta via un sospiro. «Quello per me era il PalaNorda, un bel problema per tutti gli avversari. Il palazzetto di Treviglio è bellissimo, cercheremo di portare lì l’aria e la storia di Bergamo. La Nobiltà rossoblù (il gruppo dei tifosi storici, ndr) sarà al nostro fianco, noi dovremo fare il resto: conquistare il pubblico di Treviglio, fare del palazzetto la nostra Bombonera. Un fattore decisivo».

Paola atto terzo

Serviranno cuore, ferocia, idee e testa. Molta testa. E qui rientra in campo Paola Paggi. La sua leggenda le cammina a fianco, la sua bacheca è una gioielleria: un Mondiale, due Champions, due scudetti, svariate coppe e 20 anni di campo. Due vite agonistiche a Bergamo, la prima targata Foppa; la seconda fino al 2018, anno del ritiro. Ma è la terza a promettere di fare la differenza come il nuovo ruolo: mental coach. Due parole, un mondo nuovo. «Qui torno a casa, da tempo aspettavo quest’occasione – spalanca il sorriso Paola –. Il primo contatto con questo mestiere è avvenuto durante un corso di coaching: sono stata invitata come testimonial, è stata una folgorazione. Ho scoperto che anche la testa, l’atteggiamento, l’emozione vanno allenati sistematicamente, così come tecnica, tattica, fisico. Avevo una predisposizione, mancava un metodo. E ho iniziato a studiare».

Atleti, aziende, giovani talenti del progetto «Individual Volley School» tra Torino, l’Emilia e Novara. La nuova carriera di Paggi procede spedita ma Bergamo può essere una svolta. «É la prima esperienza sportiva ad altissimo livello. Il mio passato di giocatrice sarà un vantaggio, ma non entrerò nelle questioni di campo. Mi occuperà della testa delle ragazze, delle loro emozioni, della loro comunicazione individuale e di gruppo. All’estero il mental coach è una figura consolidata e valorizzata da anni, in Italia l’ha sdoganata Jacobs dopo le Olimpiadi, ma non è ancora così diffusa. Io spero di contribuire a dare una spinta, ad aprire porte. Siamo in evoluzione, lavoriamo per decollare».

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