Abrignani: «Omicron ci ha spiazzati. Ora la sfida è un vaccino universale»

L’intervista L’immunologo traccia il bilancio della pandemia nel giorno in cui cessa lo stato di emergenza. «Oltre al siero modificato per l’ultima mutazione, se ne sta studiando uno efficace contro tutte le varianti».

Due anni (abbondanti) dopo, l’Italia dice addio allo stato di emergenza. E lo fa guardando con interesse all’evoluzione di nuovi vaccini, come spiega Sergio Abrignani, ordinario di Immunologia alla Statale di Milano, direttore scientifico dell’Istituto nazionale di Genetica molecolare Romeo ed Enrica Invernizzi, e fino allo scorso 31 marzo immunologo del Comitato tecnico scientifico. «Attualmente sono allo studio sia vaccini aggiornati contro la variante Omicron, sia vaccini universali, costruiti per contrastare tutte le varianti di Sars-CoV-2: è questa la sfida del momento su cui si stanno concentrando le case farmaceutiche».

«Chi si infetta oggi, contagia un numero compreso fra le 12 e le 15 persone. In più, va considerata l’attuale capacità di tre dosi di vaccino di prevenire l’infezione solo nei due terzi dei casi – non era così quando circolavano le varianti precedenti, contro cui il preparato era invece efficacissimo anche nel prevenire il contagio -, e la fetta non proprio marginale di italiani non vaccinati o immunizzati con sole due dosi».

Prima di guardare al domani, professore, uno sguardo all’oggi: ci eravamo illusi di vedere i contagi in picchiata ininterrotta fino all’estate, e invece qualche settimana fa s’è invertita la tendenza. Cosa ci ha messo il bastone fra le ruote?

«Direi diversi fattori. Il primo è la variante Omicron e la sua sottomutazione, Omicron 2, che si è trasformata nel virus più infettivo mai conosciuto. Per capirci: chi si infetta oggi, contagia un numero compreso fra le 12 e le 15 persone. In più, va considerata l’attuale capacità di tre dosi di vaccino di prevenire l’infezione solo nei due terzi dei casi – non era così quando circolavano le varianti precedenti, contro cui il preparato era invece efficacissimo anche nel prevenire il contagio -, e la fetta non proprio marginale di italiani non vaccinati o immunizzati con sole due dosi. Ma, come noto, andiamo verso la stagione più mite, periodo in cui ci aspettiamo un’attenuazione significativa».

Per restare su Omicron, lo scorso gennaio Pfizer e Moderna hanno annunciato di aver iniziato gli studi clinici per proporre vaccini aggiornati. Decisione necessaria?

«Iniziamo col dire che tre dosi del vaccino attuale, costruito sulla spike del virus di Wuhan, si sono dimostrate e continuano a dimostrarsi altamente sufficienti per prevenire la malattia grave: chi ha chiuso il ciclo e ha già ricevuto anche il booster è fortemente protetto, motivo per cui una quarta dose generalizzata non è, allo stato attuale, necessaria. Ma questo non significa che non stiamo guardando con grande interesse ai nuovi vaccini aggiornati con la spike della variante Omicron: se dovessero essere capaci di bloccare il contagio sarebbe molto importante».

Ci spiega meglio?

«Se il vaccino aggiornato riuscisse ad avere un’efficacia molto alta, diciamo pure la stessa che il vaccino attuale ha nel prevenire la malattia severa, suppergiù fra il 90 e il 93%, nel ridurre il contagio potremmo essere finalmente alla svolta. Significherebbe toglierci abbondantemente il virus dai piedi. Il vaccino attuale ce l’aveva questa efficacia, inizialmente: contro il ceppo originario, di Wuhan, e anche contro la variante inglese (alfa), riusciva a bloccare il contagio in oltre il 90% dei casi».

Col vaccino aggiornato si prospetterebbe una quarta dose quindi?

«Non è corretto parlare di quarta dose, semmai di un vaccino nuovo. In ogni caso aspettiamo i risultati degli studi clinici prima di pronunciarci».

Le aziende farmaceutiche hanno fatto sapere che il vaccino aggiornato non sarà a disposizione prima della tarda estate. A quel punto Omicron non sarà già stata soppiantata da un’altra variante?

«Detto che Sars-CoV-2 ci ha stupiti a più riprese, una mutazione più infettiva di Omicron – che è già il virus più contagioso mai conosciuto –, in grado di soppiantarla, è francamente difficile da immaginare. Sarebbe uno scenario davvero poco rassicurante. Ciò detto, la possibilità che il virus evolva è un buon motivo per lavorare a vaccini aggiornati che blocchino l’infezione».

E la sfida per costruire vaccini universali? Quanto è concreta?

«Lo è molto, anzi, è la sfida su cui si stanno concentrando le grandi case farmaceutiche. Va però fatto un distinguo. Che tipo di vaccino universale vogliamo? Perché, se l’obiettivo è disporre di un vaccino universale efficacissimo nel contrastare la malattia grave causata da tutte le varianti, l’operazione è relativamente, sottolineo relativamente, semplice: si tratta di un preparato che lavora soprattutto sull’attivazione dei linfociti T, il braccio del nostro sistema immunitario che elimina le cellule infettate dal virus e riconosce regioni delle proteine virali che sono conservate nelle diverse varianti. E, di fatto, un vaccino di questo tipo già ce l’abbiamo: è quello attuale, perfettamente in grado di evitare la malattia grave contro tutte le varianti che Sars-Cov 2 ha sviluppato».

«Non è corretto parlare di quarta dose, semmai di un vaccino nuovo. In ogni caso aspettiamo i risultati degli studi clinici prima di pronunciarci».

L’altra opzione invece qual è?

«L’altro vaccino universale a cui si può ambire è invece quello costruito per proteggere specificatamente dall’infezione causata da tutte le varianti. In questo caso la sfida è più complessa: si deve puntare sull’attivazione di linfociti B in grado di produrre anticorpi neutralizzanti, che sappiamo essere in grado di bloccare l’infezione riconoscendo però le regioni più variabili, quelle che mutano più spesso, della spike. E infatti gli anticorpi neutralizzanti indotti dalla spike del ceppo originario Wuhan riconoscono relativamente poco la variante Omicron».

Nel frattempo il nostro Paese ha chiuso lo stato di emergenza, è stata messa a punto una road map fatta di misure di prevenzione molto alleggerite, e si è sciolto anche il Comitato tecnico scientifico di cui lei stesso ha fatto parte. Qualche timore per i prossimi mesi?

«Al netto delle legittime scelte politiche, dico solo una cosa: se a maggio ci ritroveremo ancora con più di cento morti al giorno, mantenere la mascherina al chiuso – in grado di dimezzare di rischio d’infezione – sarebbe una misura di grande buon senso».

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