Adozioni, crisi e guerre rappresentano un freno. Ma Bergamo non molla

IL PUNTO. A livello nazionale si è passati dalle 2.469 del 2012 alle 564 dello scorso anno. Sul fronte provinciale i numeri dell’associazione «Il Conventino» però tengono.

Il crollo, a livello nazionale, sta nei numeri. Undici anni fa, era il 2012, le famiglie italiane che fecero richiesta di adottare un bambino straniero furono 2.469, nel 2022 sono scese a 564, meno di un quarto. La crisi economica, il Covid, l’instabilità di tanti Paesi, le guerre: sono molteplici le cause che hanno rallentato la richiesta. Succede così in Italia, ma anche nel resto d’Europa, negli Stati Uniti e in Canada, le aree geografiche dove si adotta di più, ma con qualche eccezione. I dati di Bergamo sono piccoli, in confronto, e parziali, perché non esiste una statistica a livello locale: gli enti ai quali ci si può rivolgere sono una cinquantina in Italia e ci sono coppie, anche bergamasche, che iniziano questo percorso lontano dalla città.

I dati bergamaschi

Una premessa necessaria per dire però che i dati a disposizione sono comunque confortanti: in città il punto di riferimento è l’associazione «Il Conventino Onlus», i cui numeri

fotografano un trend diverso rispetto al resto d’Italia: nel triennio 2012-2014 le richieste furono 14, negli ultimi tre anni 13, ma con il Covid di mezzo che nel 2020 ha di fatto azzerato i collocamenti. E nel 2022 le richieste sono state 8, un numero che non si è mai visto negli ultimi undici anni (il picco era fermo a 5 dal 2014). Un bel segnale che testimonia l’attitudine all’accoglienza delle coppie che vivono nella nostra provincia e che Giovanni Danesi, coordinatore dell’associazione, spiega così: «Non è un caso che nella Bergamasca ci siano tante realtà che scelgono di occuparsi anche di affido, che è una misura diversa, perché temporanea, ma che dialoga con l’adozione perché risponde ugualmente alla necessità di collocare un bambino che non può più restare nella sua famiglia d’origine». Domenica pomeriggio le 75 famiglie iscritte all’associazione si ritroveranno all’oratorio di Capriate per uno degli incontri periodici organizzati dal Conventino: un momento di confronto anche per i piccoli, che spesso trovano loro coetanei arrivati in Italia dallo stesso Paese d’origine.

I Paesi di provenienza

Un dato interessante riguarda proprio la provenienza: la maggior parte di loro arrivano dal Sudamerica, dall’Africa e dal Sudest asiatico, tutti Paesi nei quali la diversità somatica è un dato evidente. «Questo significa che le nostre famiglie si sentono pronte ad accompagnare i figli anche nell’elaborazione di quello che potrebbe essere uno stigma legato alla diversità del colore della pelle o dei tratti somatici – prosegue Danesi –. Le coppie bergamasche non si fanno spaventare e, anzi, si dimostrano fiduciose di poter inserire i loro bambini in un contesto sociale che ritengono essere adatto ad integrare la diversità».

Un iter lungo e costoso

La trafila è lunga e costosa: servono in media 3-4 anni, un primo percorso «attitudinale» con i servizi sociali, un decreto del tribunale dei minori e, una volta individuato il bambino, almeno 2-3 viaggi nel suo Paese d’origine e un periodo di soggiorno là. Tra costi vivi, viaggi e permanenza all’estero, la spesa si aggira intorno ai 15mila euro. «È senz’altro un percorso per il quale serve una forte motivazione – ammette Giovanni Danesi –. L’Italia, nonostante il calo degli ultimi anni, è il Paese che adotta di più all’estero. Oggi l’età media è intorno ai 6-7 anni, con punte di 9-10 anni. Le coppie che accolgono questi bambini devono sapere che hanno alle spalle una serie di esperienze e di relazioni già significative».

Le famiglie possono scegliere il Paese di provenienza ed esprimersi sulle caratteristiche in termini di fascia d’età e di bisogni speciali; più sono alte le aspettative, più è difficile creare gli accoppiamenti: «Non dimentichiamoci che i bambini che vanno in adozione non sono stati accolti nel loro Paese – conclude Danesi –, molti di loro hanno problematiche sanitarie e comportamentali, e in alcuni Stati gli elenchi dei bambini “disponibili” sono infiniti, proprio perché la loro adozione è impegnativa. Sarebbe bene che i futuri genitori capissero questa cosa: adottare vuole dire mettersi a disposizione di bambini che non avrebbero prospettive. E quando troviamo coppie che fanno dialogare i loro bisogni con le caratteristiche dei bambini in adozione è bello».

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