«Aiutare gli altri era la sua missione»
La moglie: nessuno mi riporterà Diego

La moglie di Diego Bianco, operatore del 118 morto a marzo, ricorda il marito. «I suoi colleghi erano in un marasma. Li ho spronati. Non potevo caricarli di altro dolore».

«Guarda, mamma: l’elicottero di papà». Ogni volta che nel cielo spunta la sagoma gialla dell’elisoccorso, il piccolo Alessio punta il dito verso l’alto, verso papà Diego. Diego Bianco non guidava gli elicotteri. Non l’ha mai fatto. Ne ha inviati migliaia a salvare persone nei quattro angoli della provincia di Bergamo, quello sì. E per questo, per il piccolo Diego, l’elicottero giallo che passa nel cielo è l’elicottero di papà. Nello stesso cielo Alessio, insieme a mamma Maruska, il 18 maggio ha liberato alcuni palloncini per il compleanno del papà. Due mesi prima, il 13 marzo, Diego Bianco, operatore del 118, è morto a causa del coronavirus.Sabato 13 giugno verrà ricordato nella Messa che si terrà nella centrale, all’ospedale Papa Giovanni. A lui sarà intitolata la sala operativa. «Ho accettato perché è giusto, per Diego e per mio figlio - spiega la moglie Maruska, volontaria del soccorso da 25 anni -. Per lui l’importante era aiutare gli altri. Era naturale, normale. La sua missione».

Che giornata sarà?

«Per me molto impegnativa, perché non sono abituata a stare al centro dell’attenzione. Vedremo tante persone che hanno voluto bene a Diego e che ci sono state vicine».

È stata lei a dare la forza a molti colleghi in quei giorni difficili.

«Quando è morto mio marito erano già in un marasma. Già prima erano disperati. Non potevo caricare a loro il nostro dolore. Non potevamo più far nulla per lui. In quel momento si doveva pensare a chi era a casa e stava male. Avevano bisogno solo di sentirsi dire “Andate avanti”. Tutti parlano di medici e infermieri, ma chi è arrivato in ospedale deve dire grazie anche ai soccorritori. La centrale del 118 è il cardine che fa girare tutto».

La scomparsa di Diego, giovane e fino ad allora in salute, morto nel letto di casa, ha fatto aprire gli occhi a molte persone.

«Anche a noi. Io stessa dicevo a molti di non preoccuparsi. Eppure non abbiamo sottovalutato nulla. Mio marito era sotto antibiotico, si stava curando. Non abbiamo preso la situazione sottogamba».

La notte in cui è morto le aveva detto di non preoccuparsi. Ripensa a quegli attimi?

«Dopo 25 anni di ambulanza non ti accorgi che tuo marito sta morendo. È un rimorso che ho ancora adesso. Potevo chiamare prima i soccorsi, potevo svegliarmi prima. Diego era malato da una settimana. Aveva un po’ di tosse prima della febbre. Il mercoledì ha fatto il tampone e il risultato della positività è arrivato venerdì. Avevo preparato la borsa: due pigiami e il cambio per due giorni, in caso di ricovero. Se solo avessi avuto cognizione di quello che poi è successo l’avrei fatto ricoverare mercoledì o giovedì. Ma non c’erano segnali. Lo dico chiaramente: non ha fatto l’eroe per non andare in ospedale. Non avrebbe mai pensato di morire. Una persona che pensa di morire non guarda al futuro. Lui invece aveva tanti progetti».

Resterà un eroe per lei e suo figlio.

«Avevamo ancora tante cose da fare, tanti progetti. Siamo cresciuti insieme nel mondo del soccorso, in ambulanza. Prima dell’arrivo di Alessio tutti i sabati pomeriggio avevamo il turno insieme in Croce rossa. Il 2 giugno avremmo festeggiato i 15 anni di matrimonio. È stato una persona importante per tutto. Quando passi tanto tempo con una persona, ti viene a mancare un appoggio».

Suo marito è morto dopo aver contratto il virus sul lavoro. Molte persone stanno presentando denunce alla procura. Ci sta pensando?

«No. Perché niente mi ridarà mio marito. Gli ospedali hanno fatto il possibile per provare a salvare tante persone che poi sono morte. Spero solo che questa tragedia possa preparare le gente in vista di una possibile seconda ondata. Non dico che è andato tutto bene. Gli errori di gestione, soprattutto all’inizio, ci sono stati. Ma ormai è successo. Niente e nessuno me lo restituirà».

E cosa pensa, invece, di chi dice che non è vero nulla, che i morti non ci sono stati?

«Mi viene in mente quella foto di Città Alta piena di gente. Probabilmente queste persone non sono state toccate dal coronavirus. In questo momento fare assembramenti è ancora rischioso. E la realtà, purtroppo, non è che i morti non ci sono stati, ma anzi che molti decessi sono avvenuti in casa senza diagnosi, senza tampone».

Dove trova la forza per affrontare tutto questo?

«Penso a mio figlio. Che viva bene. E che continui a ricordare papà».

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