Anoressia e bulimia, in cinque anni ricoveri aumentati del 75%

CASA DI CURA PALAZZOLO. Al Cdca utenti sempre più giovani: «Esordi anche intorno ai 12 anni». Coinvolte le famiglie: terapie con genitori e fratelli. L’approfondimento su L’Eco di Bergamo di sabato 9 marzo.

Un disturbo complesso, che va al di là di un difficile rapporto con il cibo. I disturbi del comportamento alimentare (Dca) sono in aumento a livello nazionale e in Bergamasca. E «la difficoltà maggiore per le famiglie è capire che si tratta di problemi di natura psichiatrica», spiega Gianbattista Martinelli, direttore generale della Casa di cura Palazzolo, a ridosso del 15 marzo, Giornata nazionale del Fiocco lilla contro i disturbi del comportamento alimentare. «La consapevolezza del disturbo matura dopo vari passaggi di cura fallimentari», aggiunge Pierluigi Zappa, referente scientifico del Centro dei disturbi del comportamento alimentare della Palazzolo (Cdca) - di cui è responsabile Chiara Cappelletti - , da più di 20 anni centro riabilitativo e di ricovero per i Dca in città, con nove posti letto e due di day hospital. «Recentemente l’Ats ha fatto un addendum di due posti letto in Medicina per le fasi più acute della malattia», sottolinea Martinelli.

Gli interventi

Tre i livelli di cura proposti: ambulatoriale, day hospital e reparto. Da 70 ricoveri registrati nel 2018 al Centro dei disturbi del comportamento alimentare della Palazzolo, si è passati, nel 2023, a 123 (+75,7%). E, rispetto ai numeri pre Covid con circa 150 accessi ai percorsi ambulatoriali, gli anni 2021 e 2022 segnano un aumento notevole, fino a 199. I dati rivelano anche una netta prevalenza di casi nelle femmine: su 157 percorsi ambulatoriali nel 2023 solo 6 riguardano maschi e su 123 percorsi di ricovero soltanto uno riguarda il genere maschile.

«La maggior incidenza e la maggior utenza di chi soffre di questi disturbi ha tra i 15 e i 24 anni, in particolare per l’anoressia e la bulimia. Il binge eating, invece, caratterizza per lo più la fascia post 25. L’età di esordio dei Dca, tuttavia, si sta abbassando. Sono sempre di più i casi di anoressie attorno ai 12», commenta Zappa. «L’ambulatorio è la prima relazione che abbiamo con l’esterno per i casi, ad esempio, di anoressia, Dca associati a disturbi ansiosi e disturbi di personalità in cui i Dca sono sovrastrutture – aggiunge Zappa – . In ambulatorio viene attivato il modello di consultazione con diverse figure: dal colloquio con lo psichiatra alla scrittura di un programma alimentare dedicato». Fondamentale per l’accesso in ambulatorio è il ruolo della scuola, del medico di medicina generale o del pediatra e delle famiglie che, dopo aver intercettato il problema, danno il via all’iter che porta all’arrivo in ambulatorio e all’ipotesi diagnostica e alla scelta del livello di cura più adatto.

Il ruolo delle famiglie

Un disturbo dalle tante sfaccettature comporta anche diversi fattori predisponenti che possono essere di natura soggettiva (come mancanza di autostima, iperperfezionismo e dispercezione corporea), ambientale e psicosociale. In questo insieme, ad avere un ruolo determinante, anche in termini di cura, sono le famiglie. Ed è a loro che è dedicata una parte del lavoro dell’équipe multidisciplinare della Palazzolo per cercare di garantire un percorso di cura personalizzato ai pazienti più fragili. I gruppi psico–educazionali condotti da Caterina Gonella, psicologa e psicoterapeuta del Cdca della Palazzolo, hanno l’obiettivo di accogliere i genitori dei figli in cura e ascoltarli per cercare di contenere «il senso di impotenza che li caratterizza – spiega Gonella – con l’obiettivo non solo di aiutare loro, ma di formarli ad essere il più possibile d’aiuto per i figli, anche nell’utilizzo di un linguaggio corretto».

Le risorse positive

Iniziati con incontri serali in presenza, con l’isolamento imposto dalla pandemia da Covid si sono trasformati in appuntamenti di gruppo on line con livelli di partecipazione elevati. «A ogni incontro ho indicato un numero massimo di otto famiglie partecipanti, così da instaurare un dialogo il più proficuo possibile, ma la richiesta è più alta», aggiunge la dottoressa referente. Considerati al pari di gruppi «propedeutici», ad alcune famiglie inserite negli incontri psico-educazionali viene proposto di intraprendere un percorso di terapia che coinvolge tutta la famiglia. A oggi sono circa una ventina le famiglie inserite in questa tipologia di percorso, specialmente per l’anoressia. «Funziona in maniera sorprendente. Sia per le famiglie che crescono come persone, sia per i figli: grazie a questi percorsi la prognosi della malattia migliora significativamente», commenta la dottoressa Chiara Carrara, psicologa e psicoterapeuta del Centro e referente del percorso.

Le angosce nascoste

«L’obiettivo è duplice. Da un lato il sostegno, in un luogo protetto e privato, quindi non in gruppo, a tutti i componenti della famiglia (in questa fase vengono coinvolti anche fratelli e sorelle) per affrontare il disturbo alimentare che logora i rapporti tra i componenti della famiglia e, dall’altro, cercare di indagare le dinamiche disfunzionali, che possono aver contribuito all’insorgere della patologia e a mantenerla. Come casi di ipercura e incuria e rapporti simbiotici tra genitori e figli – aggiunge Carrara – . La terapia estesa alla famiglia non vuole solo indagare le criticità, ma anche le risorse che quelle famiglie possono attivare a sostegno e cura dei figli». «I disturbi del comportamento alimentare li considero una malattia epocale, figlia, anche, della capillare presenza dei social nelle nostre vit e – aggiunge Gonella – .Il cibo è solo la punta dell’iceberg al di sotto del quale c’è un’angoscia profonda. E le famiglie di fronte a questa patologia sono in difficoltà. Vedo genitori davvero esausti, ma lo sguardo multidisciplinare dà strumenti per renderli parte attiva del processo di cura». «Non siamo e non bisogna essere alla ricerca del colpevole di questa malattia. L’importante è affrontarla e superarla insieme, creando un legame di fiducia», commenta Carrara.

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