Covid, altri due casi di variante inglese
Il Papa Giovanni al lavoro per sequenziare

Giovedì 28 gennaio l’esito dei tamponi: i due bergamaschi non sono viaggiatori, entrambi sono in buone condizioni. Si aggiungono agli altri quattro casi. Callegaro: «In arrivo entro qualche mese i macchinari, così saremo autonomi».

Altri due casi di variante inglese registrati nella Bergamasca. A confermarlo Ats Bergamo, per voce di Lucia Antonioli, alla guida del Dipartimento di igiene e prevenzione sanitaria: «L’esito di questi due tamponi è arrivato oggi (giovedì 28 gennaio per chi legge, ndr). e non si tratta di viaggiatori. Il ministero della Salute ha infatti recentemente disposto che la ricerca delle varianti attraverso il sequenziamento avvenga non solo per chi rientra dall’estero, ma anche per tutti coloro i cui tamponi positivi evidenzino alcune precise anomalie».

I due bergamaschi – da quanto si apprende, entrambi in buone condizioni – risultati positivi alla variante inglese si aggiungono ai quattro casi già intercettati da fine dicembre a oggi. Non risultano invece sul territorio orobico, secondo Ats Bergamo, casi di variante sudafricana o brasiliana.

«L’expertise l’abbiamo già»

Ma come si intercettano le varianti nella nostra provincia? Ad oggi, i laboratori degli ospedali bergamaschi non sono attrezzati per sequenziare le mutazioni del virus in autonomia: e quindi inviano i tamponi positivi dei viaggiatori, così come i tamponi positivi «sospetti», ai pochi ospedali lombardi attrezzati per il sequenziamento. In primis il Sacco di Milano o il San Matteo di Pavia. Ma si tratta di una «dipendenza» temporanea. L’Asst Papa Giovanni XXIII, da tempo impegnata in studi di ricerca sull’evoluzione del virus, ha infatti annunciato di voler acquisire i macchinari indispensabili per il sequenziamento di Sars-CoV-2: «Abbiamo già l’expertise necessario – conferma Annapaola Callegaro, responsabile dell’Unità di microbiologia e virologia dell’Asst Papa Giovanni XXIII –. Il nostro personale ha una grande esperienza in fatto di sequenziamento: è un lavoro che facciamo da anni per parecchi virus, inclusi quelli dell’Hiv o dell’epatite C. Per poter fare lo stesso su Sars-CoV-2 abbiamo però bisogno di macchinari specifici ad alta tecnologia in grado di sequenziare l’intero genoma». «Macchinari - aggiunge la responsabile dell’Unità di microbiologia - che contiamo di poter avere a breve, nel giro di pochi mesi. Questo ci permetterà di essere autonomi, e di affiancare al nostro impegno per la ricerca anche un ruolo di primo piano nelle indagini di sorveglianza».

«Asst» nello Scire

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Il Papa Giovanni al lavoro per sequenziare

A proposito di ricerca, l’Asst Papa Giovanni XXIII fa parte di Scire (l’acronimo sta per Sars- CoV-2 Italian Research Enterprise), un network che comprende oltre 70 centri che dai primissimi giorni dell’epidemia, ben prima che si parlasse di varianti e mutazioni, studiano l’evoluzione del virus. «La nostra Asst ha messo a disposizione del network la sua expertise tecnica, e non solo, per contribuire a fare ricerca: all’interno del gruppo, coordinato dall’università del Sacco di Milano, abbiamo per esempio documentato le mutazioni che le sequenze virali della seconda ondata presentano rispetto a quelle di marzo. E stiamo proseguendo tutt’ora con quest’importante lavoro di ricerca. Un lavoro particolarmente prezioso: è solo sequenziando l’intero genoma del virus che si possono scoprire mutazioni nuove, non note».

Da qui l’intenzione dell’Asst Papa Giovanni XXIII di rendersi autonomi e poter completare l’intero ciclo di studio sull’evoluzione del virus, anche con la fase del sequenziamento: «I laboratori attrezzati a fare questo lavoro di sequenziamento in Lombardia si contano sulle dita di una mano – dice Callegaro –, e noi contiamo di poterlo diventare rapidamente, anche per contribuire alla sorveglianza nazionale. Già adesso, in ogni caso, i laboratori particolarmente grandi, come il nostro, sono in grado di intercettare alcuni campanelli d’allarme sui tamponi molecolari positivi della popolazione. Avendo più piattaforme a disposizione, noi cerchiamo più geni del virus, non uno solo. E quando manca il gene che codifica per una proteina specifica, la proteina S, scatta un primo campanello d’allarme. Campanello che, però, può essere verificato soltanto con il sequenziamento».

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