Covid e influenza, il rischio è doppio. Mantovani:«Serve proteggere subito i soggetti fragili»

L’intervista. Il presidente Fondazione Humanitas per la ricerca: «Si eviti di ritrovarsi in casa due nemici, ne basta uno».

«Ho diverse preoccupazioni, in questo momento: lo dico subito, è necessario evitare di ritrovarci con due nemici in casa. Meglio averne uno solo». Uno dei nemici è il Covid, l’altro è l’influenza che con la stagione autunnale in questo 2022 potrebbe costituire un grave problema: Alberto Mantovani, immunologo, professore emerito di Patologia generale in Humanitas University e presidente di Fondazione Humanitas per la ricerca, a margine dell’evento «Il valore della ricerca clinica per il futuro del Paese. Il contributo dell’ecosistema lombardo» che si è tenuto venerdì 11 novembre all’Auditorium Parenzan a Bergamo, accetta di fare il punto della situazione, a ormai quasi tre anni dallo scoppio della pandemia.

Come siamo messi, con il Covid?

«I dati ci dicono che ora si sta decisamente meglio di un anno fa, e ancora di più rispetto a due anni fa. Questo lo dobbiamo in primo luogo ai vaccini. E non dobbiamo dimenticarlo: i vaccini ci hanno permesso di uscire da una gravissima situazione pandemica, la campagna in Italia ha dato buoni frutti. Ma molti mancano ancora all’appello: tanti anziani, fragili e immunodepressi non hanno fatto né la terza né la quarta dose. E le fragilità vanno protette, è una questione di senso di responsabilità: quindi anche chi lavora e vive con e accanto a persone fragili deve proteggersi per proteggere loro, e continuare a usare buonsenso, senza dimenticare le mascherine. La situazione generale, dicevo, è migliore rispetto a due anni fa: gioca anche il fatto che la versione attuale del Sars-Cov-2 che sta circolando è meno grave delle precedenti, e che abbiamo molte più armi al nostro arco, dai farmaci all’approccio terapeutico, fino alle conoscenze sul virus decisamente più affinate. In questo quadro, però, dobbiamo assolutamente proteggere i soggetti fragili, bisogna evitare che queste persone si ammalino. Tanto più ora, nella stagione dell’influenza».

Che influenza sarà?

«Lo ribadisco: per evitare di trovarci in casa due nemici anziché uno, è sempre il vaccino la nostra arma. Occorre vaccinarsi contro l’influenza. Sappiamo che l’anno scorso il virus dell’influenza non ha circolato molto e anche che in tanti non si sono vaccinati, i dati che ci arrivano dall’Australia per questa stagione sono preoccupanti, per la virulenza dell’influenza. Oltretutto quanto purtroppo sospettavamo ci viene confermato dai riscontri in Inghilterra: diversi soggetti gravi ricoverati in ospedale sono stati colpiti da entrambi i nemici, sia il Covid che l’influenza. Anche i vaccini contro l’influenza sono quindi cruciali: proteggiamoci».

Parlava di diverse preoccupazioni, quali sono le altre?

«A livello globale gli effetti secondari della pandemia stanno diventando pressanti: aumentano i casi di tubercolosi, e casi di mortalità per tubercolosi. Aumentano i casi di malaria. E in Africa, in particolare nelle aree subsahariane, la situazione reale della diffusione del Covid è sottostimata: molti indicatori ci dicono che è almeno 10 volte superiore a quello che si calcola. E in alcuni Paesi africani solo il 4% della popolazione è vaccinata. In una realtà di globalizzazione quale l’attuale quanto accade nei cosiddetti Paesi non avanzati si ripercuote nel mondo industrializzato e viceversa. E a pagarne lo scotto maggiore sono sempre i più deboli e i più fragili. Lo ricorda spesso il Santo Padre: ritengo un onore e un privilegio poter partecipare il 19 novembre alle 9 in Vaticano all’annuale meeting di Medici con l’Africa Cuamm: ci sarà una speciale udienza nell’Aula Paolo VI concessa da Papa Francesco. Un incontro tra persone che condividono la stessa passione e lo stesso impegno per i più fragili».

Covid e influenza, due nemici da combattere con i vaccini. Ma anche la diffidenza verso i vaccini è un nemico. Come si neutralizza?

«Il miglior vaccino contro il negazionismo è la corretta informazione, è la conoscenza, occorre mettere le persone in grado di compiere una scelta consapevole. Mi sono sempre impegnato nella divulgazione scientifica, tanto più nel dramma della pandemia ho sentito il dovere di condividere le mie conoscenze in modo diretto con le persone, nel rispetto dei dati scientifici, delle competenze e della responsabilità sociale: ho parlato e risposto a domande, via web o in presenza, nelle scuole, nelle aziende, con i genitori. Soprattutto nei confronti delle generazioni più giovani parlare è fondamentale. In un’era sempre più telematica va diffusa la cultura del sapere, il miglior vaccino contro disinformazione e fake news. Che sono virus che possono fare malissimo, a tutto il mondo: non era mai successo prima, ma oggi il 30% della popolazione in Africa esita a vaccinarsi».

A proposito di danni spesso a carico dei più deboli: un altro effetto del Covid purtroppo sono le liste d’attesa pesantemente allungate per diagnosi e terapie, molta gente non si è curata. Ci si deve aspettare una grave epidemia di altre patologie, a partire dal cancro?

«La prima ondata di contagi Covid è stata molto impattante, da questo punto di vista. Abbiamo registrato un ritardo a livello di prevenzione nel tumore alla mammella, al colon retto, e all’utero, in primo luogo. Vero è però che a questa pesante falla si è rimediato con una certa urgenza già dall’anno scorso, e questo soprattutto grazie alla dedizione degli operatori; per quantificare quanto si è recuperato e ipotizzare quanto gli arretrati peseranno sulla salute della comunità occorre attendere i dati più aggiornati forniti dall’Aiom (Associazione italiana oncologia medica) non ancora disponibili. Le liste d’attesa, purtroppo, sono un problema che esiste da tempo nel nostro Paese, e anche nella nostra Regione. Non mi occupo né sono esperto di politiche sanitarie, e quindi mi è impossibile indicare ricette tecniche. Mi urge ribadire, però, che la prevenzione è un momento cruciale per la salute pubblica, e su questo non va mai abbassata la guardia».

La pandemia ha messo in luce diverse falle del nostro sistema sanitario. Come lo si difende? Bastano le riforme, le Case delle Comunità, i fondi del Pnrr?

«Il nostro Servizio sanitario è un bene prezioso. Certamente migliorabile, e penso appunto alla necessità di potenziare la medicina del territorio, ma ricordiamo sempre che il nostro sistema in quanto a competenze non ha nulla da invidiare ad altri Paesi. Anzi, per esempio, parlando di cancro l’Italia ha un’aspettativa di vita superiore alla media europea; confrontandoci con un Paese piccolo, efficiente e ben organizzato come la Danimarca, i dati ci dicono che, quanto ad aspettativa di vita, noi abbiamo dati simili o superiori. Chiamiamolo pure miracolo italiano, ma è un miracolo che ha alla base le competenze elevate e la dedizione del personale sanitario, un rapporto assai produttivo tra pubblico e privato, che sanno lavorare bene insieme, e una grande capacità di fare ricerca. Che andrebbe sostenuta sempre di più: i dati ci dicono che dove si fa ricerca scientifica si cura meglio. La pianta della cura, in Italia, è messa a dimora in un humus di ricerca d’eccellenza: quindi, fertilizziamo il terreno e avremo ancora più frutti».

Intanto però scarseggiano medici, infermieri e i ricercatori vanno all’estero.

«Tutti noi, quando arriviamo in ospedale, ci aspettiamo di essere curati da professionisti preparati. E il nostro personale sanitario ha queste competenze elevate: non abbassiamo il livello della qualità, per avere più quantità. È sull’incentivazione che bisogna fare leva: rendiamo le professioni come la medicina di urgenza e pronto soccorso più appetibili, con meccanismi incentivanti. Chi lavora in prima linea va premiato»

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