Covid, il ricordo dei morti e quella foto dei camion che resterà per sempre

La Giornata in memoria delle vittime. Oggi, sabato 18 marzo, ricorre la terza Giornata nazionale in memoria delle vittime della pandemia di coronavirus. Una data, quella del 18 marzo – lo ricordiamo – scelta proprio perché quel giorno, nel 2020, i camion dell’esercito uscivano da Bergamo trasportando i defunti condotti in altre città per la cremazione. La dimensione e la potenza di quel dramma vennero racchiuse in una foto divenuta storica, scattata da un balcone in via Borgo Palazzo: la colonna di mezzi militari che trasportavano i feretri si dirigeva, come in un mesto corteo, verso la circonvallazione e l’autostrada. Un’immagine che fece in breve il giro del mondo e testimoniò, più di mille parole, l’entità della tragedia che aveva colpito la nostra terra.

Quando quei terribili giorni di marzo 2020 saranno sui libri di storia ci sarà sicuramente quella fotografia di Emanuele a narrarli. Uno scatto che racconta tante vite, un attimo destinato all’eternità, come il miliziano morto nella guerra civile spagnola immortalato da Robert Capa, la bandiera rossa sul tetto del Reichstag a Berlino o quella americana retta in gruppo a Iwo Jima. Immagini di guerra, la nostra è stata contro un nemico invisibile: il Covid, che a Bergamo non era alle porte ma dentro le nostre case. Inarrestabile. Tre anni dopo siamo tutti tornati a vivere come sempre, forse non come prima, ma in quei giorni nessuno aveva certezze sul fatto che sarebbe successo davvero.

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Le strade vuote, un silenzio carico di dolore e paura rotto solo dall’angosciante viavai delle ambulanze nelle giornate tutte uguali che cominciavano a farsi più lunghe. Con tanto sole, perché quel marzo del 2020 era stato una primavera in anticipo, di quelle che ti fanno venir voglia di vestirti leggero e uscire. Ma nessuno sapeva cosa ci avrebbe riservato il domani e soprattutto perché tutto stava succedendo qui, a Bergamo. Avevamo passato le prime settimane a guardare a Wuhan e ce l’eravamo ritrovata in casa: i morti, sempre di più, l’ossigeno che non si trova, le code al pronto soccorso, le Terapie intensive che esplodono, i caschi per la respirazione, la gente che esce di casa in ambulanza e non torna. Scompare, che è peggio di morire, perché non hai nemmeno un corpo sul quale piangere.

Non era solo una questione di numeri, comunque drammatici, ma di non riuscire a far capire cosa stesse succedendo davvero a Bergamo, fino a quella foto. Un’immagine, una soltanto, scattata dal terzo piano di uno dei tanti palazzi di Borgo Palazzo, che segna la storia, il prima e un dopo. Uno scatto quasi casuale che racconta la tragedia come nessuno era riuscito a fare prima e non viaggia sui canali tradizionali ma diventa un inno alla contemporaneità: da uno smartphone ai social e da qui al mondo. Solo allora tutti hanno davvero capito, tranne chi non voleva capire, ma questa è un’altra storia.

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Emanuele Di Terlizzi aveva 28 anni quel 18 marzo, un mercoledì sera: è originario di Napoli, nelle sue foto più recenti su Instagram indossa la divisa di EasyJet, in quella tragica primavera lavorava per Ryanair come steward di cabina. Un figlio di quella generazione europea che ha fatto del volo una professione, pendolari d’alta quota che si svegliano la mattina per decollare da Orio e ci fanno ritorno la sera dopo aver toccato magari Madrid, Londra o Riga. Al «condominio Borgo Palazzo» si entra dalla laterale via Ponchielli, un complesso di palazzi con portineria: Emanuele abita al terzo piano con vista sulla strada, sempre molto trafficata, ma vuota come tutte in quei giorni: tutto chiuso, tutti a terra, anche Ryanair. Per quello decide di trasferirsi a poche centinaia di metri in casa di amici per stare insieme, giusto il tempo di passare a prendere alcune cose nel proprio appartamento, di svuotare il frigorifero («avevo fatto la spesa grossa» racconterà) e farsi una doccia in pace.

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Mancano pochi minuti alle 21, nel silenzio totale sente qualcosa che cattura la sua attenzione, esce sul balcone e vede i lampeggianti di un’auto dei carabinieri che fermano un passante, una bici e un’auto, le sole presenze sulla strada. Cambia d’angolo e si trova davanti una teoria interminabile di camion militari con teli mimetici che procedono in fila a passo lento dal centro verso la circonvallazione. Emanuele punta lo smartphone e scatta, non sa che caricate sui pianali ci sono le salme di 65 bergamaschi morti per il Covid, ma scatta: sta immortalando la storia che passa tragicamente sotto il balcone di casa, ma non lo sa. «Avevo letto che si sarebbe allestito un ospedale alla Fiera e sapevo che era poco distante da casa mia: ho pensato fossero le attrezzature» dirà dopo. Non lo erano. Il corteo era partito da pochi minuti dal cimitero e aveva imboccato Borgo Palazzo per raggiungere la circonvallazione e da qui l’autostrada e le città che si erano offerte per la cremazione di quelle salme. Perché in quei giorni a Bergamo non si sapeva nemmeno dove mettere le bare.

Quella foto è un pugno nello stomaco per tutto il mondo, asciutta ed essenziale come il dolore della nostra terra, drammatica nel buio che ci avvolgeva tutti, desolante come il vuoto nelle strade. «Mi hanno scritto dalla Colombia, dagli Usa, dall’Indonesia: è come se la tragedia fosse stata sbattuta davvero in faccia a tutti» sono le parole di Emanuele. Che non sta più a Bergamo ed è tornato a volare, ma quella foto ha il potere di riportarci tutti a terra ogni 18 marzo, giornata dedicata alle vittime del Covid. Oggi e per sempre.

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