Dai vecchi documenti storie d’altri tempi
Per entrare in città serviva il passaporto

Il «passaporto per l’interno» di Giuseppina Cattaneo, classe 1890. La data di rilascio, 14 marzo 1918. L’ha ritrovato la figlia, la signora Angiola Fustinoni, che oggi ha 94 anni e vive in città.

Altro che Brexit. C’è stato un tempo in cui le «frontiere» erano tra comune e comune, tra provincia e capoluogo, e per «entrare» a Bergamo – pur partendo magari da Ponte San Pietro – occorreva munirsi di «passaporto». Accadeva non ai tempi lontanissimi della Serenissima, ma appena poco più di un secolo fa, in piena Prima guerra mondiale.

Ci sono documenti ingialliti che ogni tanto sbucano dai cassetti offrendo singolari scoperte. Quello ritrovato dalla signora Angiola Fustinoni, splendida donna di 94 anni residente in città, una carriera da insegnante e dirigente scolastica, porta alla memoria un frammento di storia forse dimenticato, sicuramente distantissimo dai tempi d’oggi. È appunto un «passaporto per l’interno» rilasciato dal Comune di Bergamo per permettere l’ingresso in città a chi non vi risiedeva, e apparteneva alla madre della signora Fustinoni, Giuseppina Cattaneo, classe 1890. La data di rilascio, 14 marzo 1918, racconta che si stava per intravedere la fine del primo, tragico conflitto mondiale; le misure di sicurezza, però, erano ancora alte, con posti di blocco militari allestiti all’imbocco di Bergamo: per esempio in via Broseta, all’altezza della trattoria «Da Giuliana», ed era lì che occorreva mostrare il passaporto per l’interno.

Un antesignano dell’attuale carta d’identità, che fu introdotta solo negli anni Trenta. «Questo documento l’ho trovato alcuni mesi fa sistemando dei cassetti, non ne avevo mai sentito parlare – racconta Angiola Fustinoni –. Mia madre abitava a Ponte San Pietro e già in quegli anni aveva un piccolo negozio, una merceria: per rifornirsi doveva venire spesso a Bergamo, con il carretto o col tram, e si appoggiava alla ditta dei fratelli Morali in piazza Pontida, all’angolo con la chiesa di San Leonardo. Passava obbligatoriamente da via Broseta, e lì, così è stato ricostruito, doveva mostrare il documento al posto di blocco».

Un po’ ingiallito, oggi il documento conserva i ricordi di un’epoca lontana. Sul passaporto, che aveva validità di un anno, sono riportati con precisione i dati anagrafici dell’intestataria, i «connotati», i nomi dei genitori, e apposta vi è una fotografia; rilasciato dal Comune, il passaporto veniva poi validato (autorizzato) dall’«ufficio di pubblica sicurezza», dipendente dal ministero dell’Interno. Nella memoria della signora Fustinoni scorrono ricordi che fotografano come all’epoca anche un breve viaggio fosse in realtà un’Odissea. «Conservo ancora i racconti della mia famiglia. Mia madre conobbe mio papà Cesare, di due anni più giovane, che abitava in città, e da fidanzati facevano spesso il “viaggio” Ponte San Pietro-Bergamo. Mio papà era appassionato di opera, insieme andavano al Donizetti: mio papà andava a prendere mia mamma a Ponte San Pietro, insieme arrivavano in città, poi mio papà la riaccompagnava a Ponte San Pietro e quindi tornava a Bergamo. Credo fossero viaggi infiniti», sorride con ironia e dolcezza Angela Fustinoni. Viaggi infiniti, persino con un passaporto da timbrare.

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