Dall’imprevisto piombato nel lockdown
una seconda vita, con grinta e sensibilità

Diletta Di Leo, insegnante di Stezzano, colpita da un melanoma durante il periodo più drammatico della pandemia.

«Merry everything and happy always»: non è solo un buon augurio («sii sempre felice») per gli amici ma una dichiarazione d’intenti quella che Diletta Di Leo, insegnante di Stezzano, ha scelto come copertina del suo profilo su Facebook. Proprio nel periodo più cupo del covid-19 ha dovuto affrontare un melanoma, e da quel momento, lei dice: «È iniziata la mia seconda vita». Ha messo la sua grinta e il suo sorriso a servizio della prevenzione dei tumori della pelle: «Se un’amica mi avesse consigliato di sottopormi a una visita dermatologica - spiega - forse le avrei dato retta, evitando tante complicazioni».

L’impegno nelle associazioni

Ora partecipa alle attività delle associazioni dei pazienti, come Apaim (Associazione pazienti italiani melanoma) o «Insieme con il sole dentro-Melamici per il melanoma», fondata dalla bergamasca Marina Rota, e promuove attività di sensibilizzazione, con un tocco di leggerezza e ironia, anche attraverso i suoi canali social: «Racconto storie e mi invento hashtag come #melanomanonmiavrai, #sonosempreunpassoavantiate. Da quando ho iniziato ricevo molti messaggi e commenti. Vuol dire che questo impegno, per quanto piccolo, è utile».

Diletta lavora da sette anni come insegnante di sostegno alla scuola secondaria di primo grado di Zingonia: «Alla fine delle vacanze di Carnevale siamo rimasti a casa come tutti. Pochi giorni dopo mi sono accorta casualmente di un neo dall’aspetto insolito sulla gamba destra. Mi ero resa conto di qualche lieve cambiamento già da qualche mese, ma non gli avevo dato peso. Quel giorno, però, avevo più tempo a disposizione per osservare e mi sono accorta di alcune stranezze: il neo, che avevo dalla nascita, aveva assunto una forma triangolare ed era circondato da un alone, così ho deciso di prenotare una visita dermatologica. In quel momento ho incominciato a credere ai piccoli segnali che la vita ti manda. Se non ci fosse stato il lockdown forse non mi sarei mossa così in fretta».

La paura

Diletta aveva paura, un’emozione che spesso spinge a rimandare: «Quella volta, invece, mi ha sollecitato a essere concreta: ho acceso il computer e ho cercato di capire come procedere. Dentro di me qualcosa mi diceva che dovevo sbrigarmi. Era sabato, considerata la situazione di emergenza causata dalla pandemia temevo che ci volesse troppo tempo per ottenere un appuntamento, perciò ho scelto un consulto privato in una struttura di Treviglio, prenotabile attraverso una app, da fare proprio lunedì, solo due giorni dopo». Sperava di essere rassicurata e mandata a casa, ma non è stato così: «La specialista che mi ha visitato - osserva - mi ha detto che sospettava si trattasse di un melanoma e mi ha invitato a sottopormi all’intervento di asportazione del neo. Mi ha preparato l’impegnativa con una clausola di massima urgenza, e questo mi ha spaventata».

L’intervento e la ripresa

L’intervento è stato programmato una decina di giorni dopo a Zingonia: «Era il 13 marzo quando sono entrata nel reparto di dermatologia, nei giorni di picco della pandemia. Sono arrivata in anticipo ma non c’era la solita coda all’accettazione, anzi, c’era il deserto e mio marito non poteva neppure accompagnarmi. Nei dieci minuti di attesa ho sentito arrivare quattro ambulanze. Mi dicevo che non si potevano sopportare due eventi così gravi come la pandemia e il melanoma contemporaneamente, mi scoppiava il cuore. Poi, però, è andato tutto bene».

Diletta sapeva che prima di avere l’esito dell’esame istologico avrebbe dovuto aspettare un mese: «È stato un periodo difficile. Nel frattempo mi sono iscritta al gruppo Facebook dell’associazione Apaim, una bellissima scoperta. Ho trovato un’accoglienza strepitosa, tante persone che mi hanno aiutato a trascorrere questo tempo di attesa che è stato anche quello del lockdown, un doppio incubo. Ci videochiamavamo, ci scambiavamo esperienze. In quel periodo ho conosciuto anche Marina Rota e la sua associazione. Ci incontravamo nel gruppo, dove entravano costantemente nuovi pazienti».

Le ricette consolatrici

Come scrive Anaïs Nyn, «venne il giorno in cui il rischio di rimanere chiuso in un bocciolo divenne più doloroso del rischio di sbocciare». Diletta in quel periodo era tesa: «Potevo uscire solo una volta al giorno per portare fuori il mio cane, Thor, e per il resto continuavo in modo ossessivo a fare ricerche su internet sul melanoma, covando le previsioni più fosche». Poi però è riuscita a scongiurare il rischio di ripiegarsi sui suoi problemi, e si è aperta a quelli degli altri: «Ho scoperto che questo tempo era fatto per uscire da me e consolare gli altri, condividendo il peso della preoccupazione».

Nei supermercati, intanto, andavano a ruba la farina e il lievito di birra: «Un’amica mi ha procurato un panetto grande, nel gruppo abbiamo deciso di cucinare anche noi, come sembrava facessero tutti per ingannare il tempo e il terrore. Ho preparato carne, pesce, piatti da chef che non avevo mai sperimentato prima. Nel gruppo Facebook ci scambiavamo ricette con l’hashtag #melamagno ed era un modo per scherzare e sdrammatizzare. Così riuscivamo a distrarci sia dal peso opprimente della pandemia sia dall’attesa dell’esito dell’esame istologico, che per me evocava, allora, ipotesi inquietanti e terribili. Le avevo prese in analisi tutte consultando il dottor Google. Non avrei dovuto farlo, ma non riuscivo a farne a meno». Il covid ha causato ritardi negli interventi per molti pazienti del gruppo dell’Apaim: «Speriamo - osserva Diletta - che presto tutto possa tornare alla normalità, spesso l’asportazione precoce aumenta le possibilità di sopravvivenza di un paziente. Mi ha sorpreso scoprire quante persone abbiano a che fare con un tumore della pelle, spesso anche in giovane età, e quante purtroppo ci lascino. Il melanoma non guarda in faccia nessuno, rispetto a tanti altri tipi di tumore a volte non viene preso abbastanza sul serio. Non tutti sanno che basta una visita dermatologica all’anno per scongiurare i rischi peggiori e che per salvaguardare la pelle ci sono regole semplici, come evitare l’abbronzatura selvaggia e le scottature». In quel periodo Diletta annegava nell’incertezza: «Ognuno di noi ha bisogno di concretezza, di razionalità e di sapere che futuro l’aspetta». Il 6 aprile è arrivata la telefonata del medico per l’esame istologico: «Ha dovuto chiamarmi per spiegarmelo, perché non poteva farlo di persona. Mi ha portato buone notizie, perché il melanoma era al primo stadio e non si era ancora diffuso ad altri organi». Molti forse l’avrebbero considerata solo una brutta parentesi ma per Diletta non è stato così: «Qualcosa in me è cambiato profondamente. Ho scoperto per esempio che non sono infallibile, che la morte fa parte della vita, anche se è un pensiero a cui non ci si abitua mai. Dopo la diagnosi mi sentivo chiusa in una bolla, e ho scoperto che si tratta di una sensazione comune. Ci sono le statistiche e le possibilità di sopravvivenza, e il medico me ne ha parlato, mi ha detto che nel 95% dei casi la mia avventura potrebbe concludersi qui. Ogni tanto, però, penso anche al 5% che rimane. Ci piacerebbe una certezza assoluta, in realtà col tempo ho imparato che devo trovare la forza di andare avanti dentro di me, non nelle percentuali».

Il secondo intervento

Diletta ha subito un secondo intervento: «L’asportazione è stata allargata fino alla fascia muscolare per evitare che restassero altre cellule cancerose. Ne sono uscita con conseguenze più pesanti della prima volta. La ferita si è rimarginata lentamente, per una settimana ho trascinato una gamba ed è comparso un ematoma enorme. Mi è rimasta una grossa cicatrice che non coprirò, perché è un segno distintivo dei guerrieri del melanoma». Diletta ha superato il primo controllo di follow up a giugno, il secondo a settembre: «Finora - dice con un sorriso - va tutto bene. Ho incontrato medici meravigliosi, che mi hanno detto di non abbassare la guardia, di non saltare i controlli, ma anche di non pensare soltanto al melanoma. Un consiglio che viene offerto a tutti, anche al quarto stadio metastatico».

In questo cammino Diletta ha sempre potuto contare sull’appoggio incondizionato del marito e della sua famiglia: «All’inizio però - ricorda - non mi sentivo di parlarne con altre persone, provavo una forma di disagio, avevo paura che mi guardassero con compatimento, che mi considerassero malata. Molti pensano all’opposto che una volta tolto il melanoma sia tutto finito, ma non è così, è comunque l’inizio di un cammino e di una vita diversa. Anche per questo ho deciso di impegnarmi nella prevenzione. Sul mio profilo Facebook ho creato una rubrica #melastories in cui racconto la storia di guerrieri, che mi permettono di utilizzare le fotografie e scrivere le loro storie. Suscitano sempre molte reazioni, mi scrivono tante persone».

Il cambio di prospettiva

È cambiata la sua prospettiva sulla vita: «Do importanza a cose diverse, non me la prendo più per stupidaggini. Sono più consapevole di un fatto ovvio ma sottovalutato: nessuno può sapere quanto tempo gli resti da vivere. Ho sempre avuto una propensione ad aiutare gli altri, ma adesso la vivo in maniera diversa, riconosco il potere delle parole, ho sperimentato quanto possano essere capaci di tranquillizzare, di calmare le ansie. Bisogna saperle usare con tatto e delicatezza. A volte c’è bisogno di grinta, in altri casi di dolcezza e sensibilità. Nel gruppo Apaim ho incontrato persone splendide e coraggiose, non solo pazienti ma anche caregivers, che hanno perso qualcuno ma restano per incoraggiare gli altri, ci diamo forza a vicenda. Tenere alto il morale potenzia il sistema immunitario e fa volare la speranza».

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