Don Bepo Vavassori, la sua opera educativa rivive negli allievi di ieri e di oggi

Patronato San Vincenzo. Domenica 25 settembre l’assemblea annuale. Il superiore don Davide Rota: «Il nostro segreto è scommettere sul futuro».

«La storia del Patronato San Vincenzo raggiunge i 95 anni di vita, caratterizzati dall’attenzione ai bisogni emergenti e all’educazione della gioventù. Il tutto camminando nella fiducia nella Provvidenza, che è la protagonista di questa storia». Domenica 25 settembre don Davide Rota, superiore della comunità del Patronato San Vincenzo, è intervenuto all’assemblea annuale dell’associazione ex allievi. Ne erano presenti un centinaio, molti dei quali avevano conosciuto il fondatore don Bepo Vavassori, scomparso il 5 febbraio 1975 a 86 anni. La tradizione dell’assemblea era stata sospesa negli ultimi due anni a causa della pandemia, per riprendere quest’anno, inserendosi nei tre giorni di festa del Patronato.

La mattinata si è aperta con il tradizionale incontro. «L’assemblea annuale — ha esordito Virgilio Recanati, presidente dell’associazione — è sempre un momento di gioia. Avanzando gli anni, siamo sempre di meno, ma restiamo saldi nell’amicizia». È seguito l’intervento di don Davide Rota: «Vi saluto con affetto per il vostro sostegno, vicinanza e generosità. Il nostro ritrovarsi si pone nel ricordo di don Bepo, grande educatore e padre di tanti giovani orfani». Nel 1927 avviò l’opera del Patronato per accogliere, soccorrere e formare umanamente, professionalmente e cristianamente giovani e orfani, allora molto numerosi. Poi l’avventura in terra boliviana. «Nel 1962 — ha ricordato don Rota — don Bepo, anche se ormai anziano, non esitò a prendere l’aereo per raggiungere la Bolivia, uno delle nazioni più povere della Terra, per esportare la sua opera».

Don Rota ha parlato degli obiettivi in cantiere. «Il più urgente e indilazionabile è la ristrutturazione del Patronato, anche se sarà necessario un ingente investimento di risorse economiche». Riguardo ai numeri, gli studenti che frequentato le scuole professionali, in collaborazione anche con aziende del territorio, sono 1.100: 600 nella sede di Bergamo, 250 a Clusone e altrettanti a Endine. Tra Bergamo e Bolivia, il Patronato accoglie oltre 750 persone: 150 giovani e minori non accompagnati nella casa di Sorisole, 120 ragazzi nella Casa del giovane, 300 nella sede centrale e 200 orfani in Bolivia. «Nonostante il Covid — ha aggiunto don Rota — molti nostri ospiti stranieri hanno trovato un lavoro, condizione essenziale per la propria autonomia». Infine il cammino della causa di beatificazione di don Bepo, affidata a monsignor Arturo Bellini. «È un lavoro molto impegnativo. Tante le testimonianze da raccogliere e anche le lettere da lui scritte, che ora si stanno digitalizzando».

Al termine, la Messa nella chiesa del Patronato a cui hanno partecipato anche alunni degli attuali corsi professionali, «per sottolineare l’ieri e l’oggi dell’opera di don Bepo», ha detto don Rota. «Quando il fondatore morì — ha esordito nell’omelia — si disse che ben 50mila giovani lo consideravano un padre. Passando i decenni, quei giovani sono saliti a oltre centomila». Qual è il segreto del Patronato? «Innanzitutto — ha risposto don Rota — il suo radicamento nella storia bergamasca e con la gente. Basti pensare alla sua opera nella Resistenza, nell’aiuto agli ebrei, ai carcerati e ai giovani delle diverse epoche. Non esiste in Italia un’opera simile». A questo segreto ne ha aggiunto un altro. «È scommettere sul futuro, cioè saper vedere i bisogni emergenti e agire in soccorso. Pensiamo ai giovani, agli orfani, agli stranieri, ai poveri dell’Albergo popolare, ai drogati, ai minori in difficoltà».

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