Galli: «Aprile cruciale, potremo vedere la luce se non salta la partita decisiva delle vaccinazioni»

Sabato in Lombardia 2.974 nuovi positivi, 192 nella Bergamasca. «In calo i ricoveri? Serve comunque prudenza».

Da lunedì la Lombardia torna arancione dopo quasi un mese con il colore rosso e anche i numeri di ieri, uniti ai valori chiave dell’indice Rt e dell’incidenza, certificano il miglioramento del quadro epidemico: sono 2.974 i nuovi positivi rintracciati in 24 ore (3.289 il giorno prima), di cui 192 nella Bergamasca (241 venerdì). Il tasso di positività regionale oscilla intorno al 5% da quattro giorni (ieri 5,6% con 53.133 tamponi).

In una settimana si è registrata una riduzione del 33,9% di positivi in Lombardia e del 38% nella Bergamasca. L’indice Rt di replicazione del virus in Lombardia è a 0,85 (sotto l’1 che fa scattare l’arancione) e l’incidenza di nuovi casi ogni 100 mila abitanti è scesa a 165 (la soglia di allarme è 250). Cala anche il numero degli ospedalizzati, «ma la partita è ancora lunga e con il passaggio alla zona arancione assistiamo a un film già visto – sottolinea l’infettivologo Massimo Galli, direttore delle Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano –. Consiglierei sempre prudenza: le riaperture precedenti, quando le cose si sono sistemate un po’, non sembra abbiano portato grandi risultati. Tuttavia ora c’è il discorso dei vaccini che potrebbe cambiare radicalmente gli scenari. Per poter respirare noi dobbiamo aver vaccinato il massimo numero di persone dai 70 anni in su, ma mi risulta che in Lombardia finora siano stati vaccinati almeno con una dose il 75% degli 80-89enni e siamo più bassi del resto d’Italia per la fascia 70-79 anni: siamo a uno scarso 5,5-6% con una o due dosi per questa fascia rispetto al 20% del dato italiano. Quando avremo raggiunto numeri molto più importanti nei vaccini per questa fascia di popolazione, allora aprile non sarà più un mese a rischio, nel senso che riapri per poi dover richiudere. È un aspetto dirimente».

I contagi sono in calo, con la geografia giornaliera che conferma i dati più elevati a Milano (785 casi in più), Brescia (477) e Monza (307). Resta alto il dato dei decessi, con altre 81 vittime del Covid nel territorio regionale (92 e 130 nei giorni precedenti), mentre nella Bergamasca si sono segnalati altri 2 decessi (da inizio epidemia 3.573 morti ufficiali in provincia e 31.676 in Lombardia).

Galli invita a non sottovalutare il pericolo varianti e amplia il discorso: «Ho la massima comprensione per le persone che non ne possono più delle restrizioni, che impattano anche a livello economico e sono un macigno sulla vita di determinate categorie, ma bisogna far tesoro delle esperienze precedenti. Penso alla Sardegna, diventata zona bianca e ora di nuovo rossa. Ci sono poi in ballo le varianti, che hanno l’attitudine di infettare anche i bambini e in questo senso le scuole costituiscono sempre un potenziale serbatoio di infezione. Con le scuole aperte aumenti le occasioni di contagio, è innegabile.

Comunque le regole sono queste e mi adeguo, anche se persiste una seria problematica legata alla possibile ripresa della diffusione dell’infezione, in assenza di condizioni stabilizzate». Il professor Galli rispolvera il modello inglese di gestione della pandemia, utilizzabile a suo giudizio anche in Lombardia a determinate condizioni: «In Inghilterra hanno chiuso e riaperto ora dopo aver messo in sicurezza la grande maggioranza degli ultra 70enni. In Italia sembra ci sia una gara tra i governatori a riaprire appena le cose vanno un po’ meglio, ma una questione va evidenziata: torniamo in arancione dopo aver avviato una campagna vaccinale con tanti intoppi, da lasciarci tutti sconcertati. Sono stanco di vedere persone che vanno all’altro mondo e che magari avrebbero potuto evitare di andarci se vaccinate per tempo».

Galli ribadisce: «Aprile sarà il mese cruciale e potremo vedere la luce, se non salta la partita decisiva della vaccinazione. Non bisogna rallentare. La raccomandazione di inoculare il siero AstraZeneca agli over 60 la trovo singolare, perché non c’è alcuna prova sui casi di trombosi legati all’uso del vaccino nei soggetti di età inferiore ai 60 anni».

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