In Bergamasca 39 mila casi in un anno. «Dopo la 1 a ondata coperti dall’immunità»

I positivi dal 1° giugno 2020 al 1° giugno 2021. Considerando l’incidenza solo 10 province ne hanno avuti meno. L’epidemiologo Carlo Signorelli: «L’urto del virus nella primavera 2020 ne ha ridotto la circolazione dopo».

Qui dove i contagi erano tracimati, in quella primavera di virus e di lacrime che pose Bergamo al centro del mondo, da un anno regge però un delicato equilibrio. Il lascito della tragedia è anche un’eredità immunitaria che ha permesso di contenere i contagi, scemata la prima tremenda ondata. Lo dicono i numeri degli ultimi dodici mesi, che posizionano la Bergamasca nelle ultimissime posizioni per contagi in rapporto alla popolazione. E sono cifre, queste, che a differenza dei nebulosi dati ufficiali di febbraio, marzo e aprile 2020 paiono solidi, perché da un anno – a differenza di quel che accadde all’esplosione della pandemia – i tamponi non mancano, dunque i casi emergono. Dal 1° giugno del 2020 al 1° giugno del 2021 in provincia di Bergamo, mettendo in fila i bollettini della Protezione civile, si sono contati 39.328 casi di positività da Sars-CoV-2: spalmati sui circa 1,1 milioni di abitanti del nostro territorio, usando lo stesso metro dell’incidenza settimanale (ma qui con un arco temporale lungo un anno), si traducono in 3.549 casi ogni 100 mila abitanti. Meglio – cioè con meno infezioni in rapporto ai residenti – hanno fatto solo dieci province in Italia, tutte concentrate al Sud e nelle isole.

Al primo posto c’è invece Bolzano, con 13.201 casi ogni 100 mila abitanti nell’ultimo anno, seguita da Belluno (10.056) e Rimini (9.861); Como e Varese, le prime due province lombarde, sono rispettivamente al quinto e settimo posto nazionale. Che lo scenario bergamasco sia unico, e che unica sia stata la violenza della prima ondata, lo fa intuire un confronto con altri spicchi d’Italia pur particolarmente funestati a marzo-aprile 2020: guardando all’anno post-prima ondata, Brescia comunque è 31a nella classifica nazionale, Piacenza 49a, Lodi 63a, Cremona 66a.

«Bergamo è stata colpita in modo molto duro nella prima ondata, con un’alta quota di casi che non venivano notificati perché allora si facevano meno test – premette Carlo Signorelli, professore ordinario di Igiene e sanità pubblica all’Università Vita-Salute San Raffaele e componente del Comitato tecnico scientifico regionale -. La conseguenza si leggeva anche nelle indagini di sieroprevalenza della scorsa estate, che davano positività al 35-40% tra gli abitanti: un’immunità naturale che in qualche modo ha ridotto la circolazione del virus nelle fasi epidemiche successive». La potenza del virus, dirompente nella primavera del 2020, ha reso più ermetico il territorio orobico quando i venti del contagio hanno di nuovo iniziato a sferzare, prima nell’autunno e poi nei mesi appena messi alle spalle: «Nella seconda ondata è stata evidente la minor circolazione del virus in Bergamasca – rimarca Signorelli, che proprio a dicembre aveva pubblicato uno studio che metteva a confronto prima e seconda ondata, all’interno di una ricerca condotta, tra gli altri, insieme a Carlo Alberto Tersalvi e Alberto Zucchi dell’Ats di Bergamo e Anna Odone dell’Università di Pavia -, nella terza invece la differenza rispetto agli altri territori è stata meno netta, anche se comunque certo non con i numeri dell’anno scorso. La terza ondata ha colpito soprattutto i più giovani».

Il fatto che la terza ondata qui sia stata più aggressiva è l’indizio di un’immunità che va a esaurirsi? «Su questo non mi sbilancerei – premette Signorelli -. La dinamica della terza ondata ha colpito in classi d’età diverse. Non leggerei l’immunità come così limitata nel tempo, mancano peraltro dati anche sui vaccini. Quello che sta succedendo nel mondo è che le reinfezioni ci sono: ma quando arrivano, sono in forma meno grave. In termini di sanità pubblica è un dato positivo, perché a noi interessano i casi gravi e non tanto gli asintomatici, salvo il fatto che possano trasmettere la malattia. Le varianti? Oggi non abbiamo evidenze scientifiche che dicano dell’esistenza di varianti non sensibili al vaccino». Lo sguardo di Signorelli si posa quindi sullo scenario epidemiologico: «Oggi la curva ricalca grosso modo la discesa di un anno fa, i numeri davvero sono simili. Col vantaggio che stanno aumentando i vaccinati, quindi si presume che si limiterà il rischio di nuove ondate, soprattutto di nuove ondate con casi gravi». Ma la battaglia non è ancora vinta, mette in chiaro il professore: «Il Covid ci ha abituato a sorprese, occorre ancora avere delle cautele – rimarca Signorelli -. Ricordiamoci che non siamo ancora a metà della popolazione vaccinata».

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